Al prossimo uragano

Il commento del vicedirettore della "Nazione"

Il vicedirettore de La Nazione, Mauro Avellini

Il vicedirettore de La Nazione, Mauro Avellini

Firenze, 3 agosto 2015 - La fatalità come metodo e la rassegnazione come soluzione. È una via comoda, ma solo per la coscienza. L’abbiamo vista percorrere tante volte, troppo spesso, da chi deve agire, da chi deve dare risposte, da chi deve risarcire, da chi deve prevenire. È una strada pericolosa, più degli uragani, che ha già fatto tanti morti in fabbrica, che ha lasciato crollare le scuole sotto i colpi del terremoto, che ha sommerso vite e abitazioni sotto metri d’acqua. In Toscana e ovunque. Questa volta è andata meglio, ma solo perché la sfiga ci vede benissimo e ha purtroppo «mirato» un’area di appena un chilometro quadrato a sud di Firenze. 

E giù a ricordare che i fenomeni «intensi e localizzati» non sono prevedibili, che è tutta colpa del «global change» e che i feriti, purtroppo anche gravi, in questi casi «sono inevitabili». Chi va a pesca sa tutto sul vento, sulle correnti, se cade una goccia di pioggia. Chi invece l’altra sera è tornato stanco morto dal lavoro ha trovato per tetto il cielo e la casa devastata. Zitto e buono tutta la notte a raccogliere acqua e calcinacci. A imprecare al suono delle sirene perché non trovava l’assicurazione di casa, quella che gli ripagherà solo le briciole.   Inquieta questa attesa perenne della prossima disgrazia, quella che non toccherà mai a te, quella che prova un certo pudore, soprattutto da parte delle autorità e degli amministratori, a dare consigli e raccomandazioni su ciò che può mettere in pericolo i propri cittadini. Visto che non ci sono i soldi per risarcire, basterebbe informare, anche copiando da internet e anche se poi il vortice si dissolve. Invece no, siamo alla nuova conta dei danni, che sono evidente metafora della nostra cattiva coscienza. Tanto poi, a spazzare via tutto, ci penseranno i profughi. Questa però, almeno è un’idea.

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