{{IMG_SX}}Firenze, 2 luglio 2008 - Hanno preso le distanze, minimizzato il loro rapporto di conoscenza con la sedicente dottoressa americana Marjorie Randolph Armstrong esperta in 'microbiologa e biochimica della nutrizione', il dottor Angelo Fierro e il suo collega Mauro Alivia, interrogati lunedì dalla Mobile del dirigente Filippo Ferri e del commissario capo Alfonso Di Martino come 'persone informate dei fatti' in relazione alla morte della sedicenne Clara Maria Palomba. Sofferente di diabete, la ragazza morì nel maggio scorso al Meyer per aver sospeso la terapia a base di insulina nella previsione di un’altra ‘terapia’. Una ‘indicazione’ rivelatasi fatale, che sarebbe pervenuta alla famiglia Palomba proprio dall’americana. Fierro, 48 anni, di Bologna, specializzato in Scienze dell’alimentazione e Mauro Alivia, 55 anni, cardiologo milanese, sono stati sentiti come testimoni e in quanto tali obbligati a rispondere.

 

Gli investigatori intendono ricostruire con esattezza i rapporti 'para-professionali' intercorsi tra i due camici bianchi e la ‘guaritrice’ statunitense. Sapere se, come, e a quale titolo la Randolph è stata messa in contatto con la famiglia della vittima. Fierro avrebbe ammesso agli investigatori di aver ricevuto nome e numero di telefono della donna dal suo collega Alivia e di averlo ‘girato’ ai Palomba certo che lei fosse un medico. Di lì a poco il padre di Clara avrebbe chiesto a Fierro spiegazioni circa la proposta della Randolph di un ‘test di sospensione dell’insulina’. "Sentite quelle parole dissi a Palomba di non seguire quella indicazione", ha assicurato Fierro.

 

La Randolph, 65 anni, studio a Milano, succursale e casa a Udine, è per ora l’unica indagata per la morte della ragazza, avvenuta al Meyer, dove Clara era in cura. E dove venne ricoverata ormai troppo tardi. I sanitari del pediatrico avvisarono le autorità investigative; l’autopsia effettuata dal professore Aurelio Bonelli ha poi confermato in modo inequivoco le cause del decesso. Pesantissime le accuse alla donna che, manifestata la volontà di dare la sua versione si è poi avvalsa della facoltà di non rispondere: omicidio come ‘dolo eventuale’. La Randolph ovviamente non intendeva uccidere. Ma non poteva non sapere quale sciagurata conseguenza avrebbe portato il test di sospensione dell’insulina da lei prospettato. L’altra accusa è esercizio abusivo della professione medica: la donna non è negli elenchi dell’Ordine dei medici. E l’iscrizione è necessaria per esercitare la professione in Italia. Ma torniamo agli interrogatori disposti dal sostituto procuratore Alessandro Crini. Dopo aver sentito, alcuni giorni fa, Dario Palomba, libero professionista, padre della minorenne (la madre Elisabetta è dipendente di un ente pubblico), è toccato a Fierro e ad Alivia, quest’ultimo presidente di Sima (Società italiana di medicina antroposofica) definita in alcune pubblicazioni "ampliamento della medicina convenzionale". Ma anche corrente di pensiero, alla quale sembra avesse ‘aderito’ anche la famiglia della giovane diabetica.

 

I medici hanno affermato di non aver mai saputo che la Randolph non è laureata in medicina. Né di averne suggerito il nominativo ai loro pazienti. Ha raccontato Alivia che a lui la Randolph fu presentata, come esperta di biochimica, da una sua paziente. Era il 2005. Ha inoltre escluso la partecipazione della Randolph a convegni della Sima e si è rifatto ad un suo comunicato del 14 maggio: "La medicina antroposofica è praticata solo da medici abilitati all’esercizio della professione che agiscono secondo scienza e coscienza per il bene supremo della salute dei propri pazienti, valutando caso per caso le opportune opzioni terapeutiche. Ogni altra apersona non abilitata che usi il termine ‘antroposofia’ per curare persone malate incorre in una condotta criminale. La medicina antroposofica, intesa come ampliamento della medicina odierna non è una medicina alternativa. Nel tragico caso in questione nessun medico antroposofo avrebbe mai consigliato di sospendere la necessaria terapia insulinica".