{{IMG_SX}}Firenze, 6 marzo 2008 - Dice che Firenze è come una mamma: "Anche se ha difetti tremendi non si può fare a meno di amarla". Bell’immagine, di fiorentino da distanza com’è da tempo Franco Zeffirelli. Fiorentino variante nostalgia: "Perché anche da qui la mia città l’ho sempre sotto gli occhi, guardi", aggiunge, alzandosi in piedi nella veranda liberty della sua villa fuori Roma, e indicando, fra una matrioska di Berlusconi e una tv al plasma da mille pollici, due quadri: uno mostra le rovine del ponte di Santa Trinita minato dai tedeschi, l’altro il tram in via Panzani.

 

 Il tram? Ma non era proprio il maestro Zeffirelli uno dei nemici più acerrimi della nuova tramvia?

"Appunto. Se il tram lo facessero come quello, tirato dai cavalli, andrebbe più che bene". E giù una risata aperta, a scuotere la felpa blu della Scala che indossa per coprirsi nel pomeriggio invernale. "Che errore quello del tram - insiste - Vogliono portare la gente da Scandicci a Bagno a Ripoli passando per il centro. Ma che follia è? Dicono sia modernità ma si scordano Giuseppe Verdi".

 


Che c’entra Verdi con la viabilità?
"Lui diceva che per fare il moderno bisogna semplicemente far rivivere il passato. Imparino da lui gli assessori populisti e i sindaci di oggi. Perché sa qual è, alla fine, la cosa più drammatica di questa città?".
Qual è?
"E’ il male che riesce a fare a se stessa. E lo fa da sempre. Pensi: nell’800 hanno distrutto 13 chilometri di mura trecentesche solo per fare la cosiddetta città moderna".
L’architetto Poggi lo mandiamo all’inferno?
"No. Distruggere le mura non fu colpa sua, ma della città che voleva modernizzarsi. Per questo le mura erano sinonimo di passatismo...".
Modernizzarsi, però, non sempre è un errore...
"No, ma a Firenze questo concetto lo si è vissuto in maniera folle. Con la perversità di restituire a vita nuova dopo secolare squallore, si è tirato su un centro storico che poteva stare benissimo a Milano".
Piazza della Repubblica dov’era il ghetto...
"Il guaio è che dopo avere sventrato il ghetto si è andati avanti, certificando il ricorrente bisogno di farsi del male".

 


Con cosa ce l’ha?
"Con tante cose. Tempo fa ad esempio, scoperchiarono Piazza della Signoria solo perché un bischero delle Belle Arti aveva scoperto che c’erano i resti di una città etrusca".
Qualcosa hanno trovato...
"Sì, qualche pantofola scompagnata e qualche brocca rotta. Nel frattempo hanno però distrutto un selciato fatto nel’600 con ogni pietra diversa, frutto del lavoro straordinario degli scalpellini fiorentini".
Le avevano tolte e numerate...
"Ma quando sono andate a rimetterle non sono riusciti a ricollocarle come erano prima. Adesso quel selciato fa schifo".
Non le piace proprio niente...
"E cosa dovrebbe piacermi? Lo sgabello di Isozaki che vogliono mettere davanti agli Uffizi? Questi sono solo rigurgiti di odio che la città ha contro se stessa e contro la sua tradizione".
Anche per questo lei si è espresso duramente contro la tramvia?
"Certo. Se si vuol bene alla città perché permettere una cosa così brutta?".
Ma così com’è con gli autobus, piazza del Duomo fa schifo. Solo che nessuno si indigna...
"Troviamo allora un modo più civile, leviamo gli autobus. Ma non c’è nessun bisogno di adoperare il centro storico per attraversare la città".
Di divieto in divieto c’è però il rischio di ingessarla questa città...
"Ma che ingessare! Il rischio è di fare di Firenze una grande Rifredi".
A Parigi hanno messo una piramide rovesciata davanti al Louvre e nessuno è sceso in piazza...
"Se è per questo hanno anche distrutto i mercati di Les Halles per farci il centro Pompidou. In entrambi i casi, due cose orribili. Ma la verità è un’altra".
Qual è?
"Che sarebbe un errore pensare a Firenze come a una piccola Parigi. Firenze ha un’altra dimensione. E’ fatta di capolavori squisiti di altissima qualità".
Qual è allora lo scorcio più bello?
"Dalle ville sopra viale Petrarca si vede una Firenze meravigliosa. Così come dalla via Faentina. Scorci straordinari. Strano non siano ancora riusciti a rovinarli".
Firenze ama dirsi ancora una capitale della cultura...
"Mah! Che alcuni uomini di cultura la usino come buon retiro, ci sta. Ma che ancora sia una fucina di creatività, proprio non mi risulta".

 


Lei è uomo di musica: il Maggio Musicale le piace?
"Ma per carità. Da tempo non vedo roba interessante. Solo rimasticature. Non avendo soldi per esprimere un proprio stile, si affittano allestimenti da Praga e da Lione che non stanno né in cielo né in terra".
Niente a che vedere con La Scala insomma...
"Ma per carità. Con questa roba è impensabile fare concorrenza alla Scala".
Lei è fiorentino: l’hanno mai contattata ultimamente per realizzare uno spettacolo?
"Ho fatto la Traviata con Kleiber nel 1984 e la Boheme qualche anno fa. Stop".
Si è mai offerto recentemente?
"Avevo proposto di fare Pagliacci a Boboli, una produzione già presentata ad Atene. Mi hanno detto che non c’erano i soldi. Che devo fare?".
Se la chiamassero al Maggio, insomma direbbe di sì?
"Probabilmente sì. Certo, non a fare le bischerate che dicono loro".
Forse la sua colpa è proprio questa...
"Quale? Non fare bischerate?".
No. Quella di realizzare spettacoli, come dire, troppo classici...
"Guardi, io ho sempre fatto quello che l’autore voleva si facesse. Adesso si stravolge. Pensando di portare i giovani a teatro, ci si abbandona alle più sconce stravaganze. Una follia. Io non metterei mai alla Gioconda una cornice di plastica a pallini".
Ma lei è uno che, parole sue, ha fatto il chiasso insieme a Puccini...
"Vero. In tutte le sue opere che ho messo in scena, ci siamo divertiti molto. Siamo andati d’accordo».

 

 
Lei non ha mai 'rivisitato'. Un quasi fiorentino come Benigni, però, rivisitando la Divina Commedia ha avuto un successo enorme...
"Guardi: di questo io non voglio nemmeno parlare. Non me lo chieda. Mi viene il voltastomaco".
Sta usando toni forti...
"L’argomento lo merita. Dovrebbe esserci un istituto per proteggere i classici dai mascalzoni che se ne impossessano".
Ma la Divina Commedia è come il melodramma: ha un fascino popolare...
"Ma per carità! La Divina Commedia è il massimo dell’aristocrazia, della poesia. Allora prendiamo anche l’Iliade e l’Odissea e riduciamole a pagliacciate".
Un falso popolare, insomma...
"Che vuol dire popolare?".
Che Benigni ha avuto una piazza piena ad ascoltarlo, Sermonti molto meno.
"Perché Benigni è associato al pagliaccio, e il clown ha sempre la sua clientela. Se la Divina Commedia l’avesse letta Grillo, ci sarebbe stato lo stesso pubblico a sentirlo".
Lo dice con amarezza...
"Benigni è stato furbo, l’ha studiata bene. Ha saccheggiato Sermonti e tutto lo studio fatto da quel grande filosofo della poesia. Poi ha rimpasticciato tutto, facendo quattro sberleffi al povero Sermonti".
Benigni dunque non le piace. E dei nuovi comici fiorentini che giudizio ha?
"Qual è la domanda successiva?".

 


Non vuol dare un giudizio su Pieraccioni & C.?
"Qual è la domanda successiva, la prego".

 


Va bene: qual è, allora, il film che racconta meglio Firenze?
"Metello e la Viaccia, tutti e due di Bolognini, un pistoiese che amava Firenze nel giusto. Quei due film restituiscono l’incanto della città. Non il lustro dei Medici, ma la gente vera".
Pratolini piace molto anche a lei...
"Era un grande amico ed è stata la mia passione. Leggendo Cronache di poveri amanti ho conosciuto gente simpatica e anche cara, Maciste, i tre angeli di via del Corno, la Signora. Pensi: stavo per farci anche un film".
Quando avvenne?
"Era il ’52 e Visconti mi mandò a Parigi per fare il cast. C’erano Belmondo, Delon e Massimo Girotti. Per fare una delle ragazze feci un provino a una ballerina sconosciuta che segnalai subito. Si chiamava Brigitte Bardot".
Poi non se ne fece niente...
"No. Peccato".
Zeffirelli, perché a Firenze non c’è più un Pratolini?
"Perché i fiorentini hanno perso la loro identità popolare, l’hanno politicizzata in modo sbagliato".
La politica ha fatto così del male alla città?
"Soprattutto non ha incentivato la creatività".
Il sindaco Domenici le piace?
"Non lo conosco molto. E’ carino, intelligente, ma viene dalla scuola di Botteghe Oscure".
La Pira invece lo conosceva bene...
"Ebbé. Mi ha educato lui a San Marco. Un grande uomo. Divertente e pazzo".
Se adesso eleggessero lei sindaco, cosa farebbe come prima cosa?
"Cercherei un rapporto diverso coi cittadini per mettere un po’ d’ordine nelle loro teste".
Lei adesso vive a Roma: qual è la differenza più evidente con Firenze?
"Roma è una gran puttanona, simpatica. Però i romani son più orgogliosi di essere romani di quanto non lo siamo noi di essere fiorentini. Forse è merito dell’Impero".
Qual è, allora, il difetto peggiore dei fiorentini?
"La superbia, l’arroganza, il sentirsi stampati in un altro modo rispetto alla gente comune".
E la dote migliore?
"La generosità reciproca nell’aiutarsi a essere fiorentini. Anche se poi, a pensarci bene, se c’è una città dove ognuno fa i cavoli suoi è proprio Firenze. Mah!".
C’è stato però un momento in cui la città si è stretta forte tutta assieme: l’alluvione del ’66...
"Quella all’inizio sembrò una catastrofe, invece fu un momento alto per la città".
Ricapitasse oggi, ci sarebbe lo stesso spirito di allora?
"Io penso di sì. Oddio: allora non chiacchierò nessuno, si prese la pala e si andò con Bargellini. Fu la grande forza di un’esperienza collettiva".
Firenze diventò una calamita per molti...
"Vero. Mentre i fiorentini erano a recuperare quello che avevano perduto e a piangere i loro morti, chi diede il senso della rinascita fu una gioventù che offrì il meglio di se stessa perché Firenze non morisse".
Nella gioventù di oggi ne vede ancora di possibili angeli del fango?
"Nonostante lo sterco della cultura contemporanea con il quale sono nutriti, io credo che ci sia ancora del bene nei giovani di oggi".
Una dichiarazione d’ottimismo...
"I giovani li vedo a teatro fare la fila per assistere alle prove, li vedo amare Puccini. Nei grandi momenti storici, non importa che 100 ragazzi su 100 siano pronti. Ne basta uno per caratterizzare una generazione".
Ottimismo, appunto...
"Sì. Io vedo nei ragazzi una voglia di essere migliori. Il guaio è che sono storditi dalle chiacchiere a vanvera, nelle scuole, in tv, per strada. Leggono libri sbagliati e per questo se chiedi loro dell’Alcione neppure sanno chi è D’Annunzio".
Chi è il responsabile di tanto danno?
"La lista è lunga. Certo, gli assessori alla cultura in quanto a disastri la sanno lunga".
Concludendo: Firenze la mandiamo all’inferno o in paradiso?
"Diamole speranza. Già è un purgatorio generale di suo. Anche per questo, io la metto in paradiso".