{{IMG_SX}}Toscana, 23 ottobre 2007 -  Non c’è vento, si parte. Mentre in tv impazza l’isola dei famosi, io decido di visitare l’isola dei detenuti. Gorgona, la più piccola e la più settentrionale delle isole dell’Arcipelago Toscano. Niente fusi orari, basta prendere un traghetto, anzi la motovedetta della polizia penitenziaria. Per raggiungere l’isola serve un permesso speciale, bisogna essere o residenti o parenti di un detenuto o di un agente. Io sono autorizzata dal ministero della Giustizia. Mi fermerò tre giorni.

 

Arrivo di domenica, e la passo a osservare da lontano i protagonisti dell’isola: i detenuti. Sono già nelle sezioni, non posso avvicinarli ma solo scrutarli. La serata scorre lenta, allo spaccio della caserma e in spiaggia. Sono le onde del mare, lo stridere acuto e incessante dei gabbiani e le sgommate delle jeep della polizia penitenziaria che scandiscono il resto della mia domenica. Il lunedì mi sveglio presto: è un giorno di novità, sull’isola arriva il nuovo direttore del carcere, Ester Ghiselli, accompagnata dal suo predecessore Salvatore Iodice. Il loro ok dà inizio al mio tour carcerario.

 

Tre giorni a stretto contatto con i detenuti. Non devo spiare dal buco della serratura, non devo sbirciare oltre le sbarre per incrociare gli sguardi. A Gorgona gli ‘ospiti’ hanno l’opportunità di svolgere le mansioni liberi, ma sempre sotto il controllo degli agenti, e vengono retribuiti: chi alleva gli animali, chi coltiva orti, oliveti e vigneti, altri fanno il meccanico, il fornaio, il muratore. Ne incontro molti, posso ricambiare sorrisi e saluti. Carlo, Luciano, Giulio, Adil, Gianni, Antonio: tanti nomi (di fantasia) legati a storie diverse, ma accomunati da un’unica condizione. Molti considerano un privilegio scontare la pena a Gorgona, perché qui tutti lavorano all’aria aperta. La domenica possono fare il bagno in mare, tuffandosi da un trampolino naturale nella piccola insenatura di Cala Martina. Chi vuole può partecipare alla messa.

 

Carlo è di Domodossola, ha 34 anni. Siamo nel magazzino, si racconta: è un fiume in piena. Ha un aspetto curato, è stato istruttore di body building. E’ arrivato il 21 agosto e ha realizzato, con le stesse mani che l’hanno condotto in carcere, un’insegna per l’infermeria. Ha fatto anche l’insegnante di tennis, poi gli incontri clandestini di kick-boxing, fino al giorno in cui la sua vita si è fermata. E anche quella di qualcun altro. "Sono in carcere da cinque anni e mezzo. A Terni ho conosciuto l’isolamento per 40 giorni, è stato orribile". "ll primo ricordo di Gorgona? Poter usare posate di ferro", risponde imbarazzato.

 

La giornata inizia presto a Gorgona, l’ultima colonia penale agricola in attività su un’isola dopo le dismissioni dell’Asinara e di Pianosa. Ci sono una settantina di detenuti, tutti maschi, qualcuno è straniero. L’ispettore superiore Giovanni Martano mi spiega che chi arriva qui deve scontare un residuo di pena non superiore ai 10 anni (15 in via eccezionale), godere di buona salute, non avere legami con la criminalità organizzata. L’accesso è anche regolato da ‘interpelli’ indetti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

 

A tratti sembra di essere in un villaggio vacanza, ma i segni della prigione sono inequivocabili. "La guardia non va mai abbassata", sostiene il vicecommissario Gisberto Granucci, sull’isola da aprile per gestire il personale di polizia penitenziaria. Così, salendo dal porto si incontrano posti di sorveglianza e agenti, e le ‘conte’ sono lì a ricordare che si è in carcere. Nelle sezioni dette ‘di transito’ vivono gli ‘articolo 21’ (possono lavorare con le ditte esterne che operano sull’isola), e le ‘capanne’ per i detenuti comuni. Vivono in un palazzo giallo, con guardie all’entrata e celle dalle porticine blu. Sui balconi intravedo panni stesi, nel cortile c’è chi ascolta musica, chi gioca a pallone, chi sonnecchia al sole e chi va a mensa. Alcuni si prestano ai flash e alle domande per raccontare come si sta in una 'prigione-paradiso'.

 

Raggiungo Luciano nella sala hobby delle ‘capanne’. E’ il falegname dell’isola. Ha 53 anni, padre romano e madre tunisina. Sconta un cumulo di pena per vari reati. Nel tempo libero realizza oggetti in legno, ha partecipato a mostre organizzate dall’Unicef e dalla Caritas. Ha appena finito una nave: "Con un’imbarcazione così bella vorrei tornare a casa". Intanto, si infervora parlando di politica, la segue in tv, è favorevole all'indulto ma più propenso a un uso corretto della legge Gozzini.

 

La maggior parte di questi detenuti ha chiesto di essere trasferito qui. "Cercavano un macellaio, ho fatto domanda", scelta sofferta quella di Giulio, leccese 38enne: così è lontano dalla figlia di 11 anni che vive in Puglia. E’ dentro per una rapina costata la vita a un gioielliere, dice che in gioventù era "una testa calda, un ragazzo viziato". A Gorgona è venuto per lavorare e mettere da parte qualche soldo. Riesce a guadagnare 350-380 euro al mese. "Il mio ricordo più bello di Gorgona? Quando ho fatto il bagno in mare dal trampolino. Quello più triste? La lontananza da mia figlia". L'ultimo pensiero della sera è rivolto a Santa Rita: “Papà prega pure tu - gli dice la sua bimba - così se siamo in due a farlo forse Santa Rita ci ascolta”.

 

Adil è un turco di 27 anni. E’ musulmano, ha appena osservato il Ramadan. Lo hanno arrestato a Fiumicino, tornava dal Venezuela ed era diretto in Siria, "ma quella valigetta mi ha incastrato". Qui si occupa delle mucche. Sembra imbarazzato e parla un italiano stentato. Dal carcere cerca di aiutare i genitori: “E' un modo per ripagare i miei di tutta la vergogna che hanno provato quando mi hanno arrestato”. A Gorgona guadagna quasi 500 euro, più che in Turchia dove lavorava negli alberghi e ne prendeva 300.

 

La detenzione non ha smorzato il campanilismo di Gianni: sulla parete della sua cella ha la 'bandiera dei Quattro Mori', mentre sul comodino c’è la foto del padre, che è morto. Ha 25 anni, è un ragazzo sardo muscoloso e bruno. E’ in carcere dal 2004. A Gorgona si occupa dei maiali. Il suo preferito l’ha chiamato Igor, lo accarezza grattandogli la pancia: "Non posso coccolare le persone - ammette - così do il mio affetto a lui”.

 

Antonio è un calabrese di 35 anni. Fa il fornaio, è a Gorgona da 8 mesi. Qui prepara pizze e pane per il fabbisogno dell’isola. È fidanzato da 19 anni. Il martedì è il giorno dei colloqui, i parenti arrivano con la nave Toremar che va a Capraia. Non può attraccare, è la vedetta a portare i passeggeri sull’isola. Talvolta trasporta i detenuti che beneficiano del permesso. Assisto al passaggio da un mezzo all'altro e mi viene in mente la figura mitologica di Caronte, il nocchiere delle anime. Martedì scendono sei parenti, c’è la nipote di Antonio con il marito, sono in viaggio di nozze. E prima di tornare in Calabria hanno fatto capolino a Gorgona per riabbracciare lo zio. Antonio ha preparato per loro pizze e pasticcini. Quando l'agente gli comunica che i suoi parenti sono arrivati nella sala colloquio, comincia ad agitarsi e dall'emozione diventa tutto rosso. Mi saluta e si allontana saltellando.

 

Incontro anche Giuliana, agente scelto. Abita a Livorno, ha un bimbo di un anno, prima lavorava a San Vittore. Di solito raggiunge l'isola il martedì con la Toremar e ha il compito di sorvegliare i colloqui, in biblioteca dalle 10.30 alle 16.30. “E' un po' imbarazzante - dice - negli altri carceri i colloqui sono solo visibili e non udibili”.

 

Sull’isola vivono e lavorano anche gli agenti, alcuni civili dipendenti del penitenziario e pochi altri residenti. Ma Gorgona non è vissuta da tutti come un paradiso. Il motivo principale che spinge il personale della polizia penitenziaria a prestare servizio sull’isola è la possibilità di accumulare quattro punti, anziché uno, per ogni anno di permanenza. Questo perché Gorgona è considerata una zona disagiata. Rocco è un agente lucano, da un anno sull'isola: prima era ad Aosta. In Basilicata ci sono sua moglie e tre bambini. Sull’isola non potrebbero stare, mancano le scuole. “A livello lavorativo - dice - mi trovo bene, in un carcere chiuso ci sono più problemi, ma mi rammarica molto non poter stare con la mia famiglia”.

 

Nei primi mesi del 2004 due omicidi tra i detenuti avevano messo in crisi le attività e la sopravvivenza del carcere. Ma non le hanno spente. Comunque non mancano i problemi: dalla carenza di personale, di vedette e di rappresentanza sindacale all’assenza di acqua potabile fino alla mancanza di elettricità: per generare energia si usa il gasolio, è una spesa forte, ma è ancora lontana l'installazione di pali eolici.

 

Il numero degli indigeni si conta sulle dita di una mano. Prima di partire, scambio due chiacchiere con la famiglia Brozzi. Conosco Valentina che, con il suo bimbo di un anno e mezzo, raggiunge il padre che sta pescando su una barchetta. Lei è nata e cresciuta a Gorgona, qui ha trovato anche l'amore sposando un agente. Dice di essere felice: “Sto bene, non mi sento sola, andrò via solo quando il mio bambino andrà all'asilo”. Per me, invece, è arrivato il momento di andare.

 

Ci sarebbe molto da esplorare e da descrivere qui, a cominciare da un cielo sorprendentemente azzurro e da un mare incantevole. Il vento, intanto, si è calmato: non c’è più nessun pericolo e la vedetta può ripartire. Sono le 18.30 di martedì. Mi imbarco e mi allontano piano piano da quest'isola affascinante e silenziosa.