Martedì 23 Aprile 2024

Controllare il dipendente su Facebook non è reato

La sentenza della Cassazione: il datore di lavoro può 'adescare' con una falsa identità il dipendente sospettato di chattare durante l'orario di lavoro

Il logo di Facebook (Reuters)

Il logo di Facebook (Reuters)

28 maggio 2015 – Facebook diventa sempre più un campo minato per il lavoratore. Il capo da oggi può, in alcuni casi, spiarlo per controllarlo. Dopo i casi di licenziamenti per insulti o frasi scritte sul social network, ora la Cassazione allarga le maglie per il monitoraggio del datore di lavoro.

Un 'capo', infatti, può adottare una falsa identità per 'adescare' su Facebook il dipendente sospettato di chattare durante l'orario di lavoro, mettendo così a repentaglio la sicurezza degli impianti ai quali è addetto e il regolare funzionamento dell'azienda.

La sentenza 10955 arriva a conferma del licenziamento per giusta causa di un operaio abruzzese. L'addetto alle presse di una stamperia si era allontanato dalla sua postazione per chattare per un quarto d'ora. È questo il motivo, per la Cassazione, che gli ha impedito di intervenire “prontamente” su una pressa bloccata da una lamiera che era rimasta incastrata negli ingranaggi.  

Per la Suprema Corte è giusto che, in casi del genere, che il datore di lavoro ricorra a espedienti come crearsi una falsa identità su Facebook, pur di vigilare sul comportamento del dipendente. Un tipo di controllo “lecito” in quanto non ha “ad oggetto l'attività lavorativa e il suo esatto adempimento, ma l'eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente” già “manifestatisi” in precedenza. Per la Cassazione, in questo caso, si tratta di controllo “occulto”, ma “difensivo”.

E attenzione: fra i comportamenti leciti entra anche la localizzazione del dipendente tramite il suo “accesso a Facebook dal cellulare”. La tecnica è consentita in quanto il lavoratore si ritiene abbia la “consapevolezza” di poter essere rintracciato attraverso il dispositivo.