"Senza le Poste il paese muore": Castelnuovo in piazza per urlare no

Flash mob di protesta con trecento cittadini e Falorni

Un momento della protesta

Un momento della protesta

Empoli, 28 agosto 2015 - UN NO fermo, irremovibile. Scritto nero su bianco, stretto in mano e alzato al cielo da trecento castelnuovini, uno più o uno meno. Una bella fetta degli 860 abitanti di Castelnuovo d’Elsa, il borgo di Castelfiorentino che, dopo aver visto chiudere decine di attività si trova a fare i conti con la minaccia concreta di dover rinunciare pure all’ufficio postale. No, i cittadini non ci stanno. E ieri sono scesi in piazza per un flash-mob, come si usa dire in tempi ‘social’, per far sentire ancora una volta la loro voce. Proprio in piazza Santa Barbara dove nell’ufficio postale a rischio, al civico 4 b, le attività proseguono come niente fosse.

Bocche cucite e via tra moduli e conti da fare, nonostante il brusio che sale in piazzetta. A GRIDARE agli occhi di chi guarda anche i cartelli stesi, ai davanzali delle finestre dalle persiane verdi, come indumenti al sole. «La posta è un servizio sociale. Non si tocca. Non siamo dei numeri» si legge da un lato, «Castelnuovo dice no, vergogna» dall’altro. «Non siamo numeri ma prossimi elettori (occhio)» le parole affidate a un cartello in piazza. E poi c’è il grande lenzuolo il cui messaggio è inequivocabile: «Lotteremo senza sosta per salvare la nostra posta». La posizione dei paesani è chiara, quello che però tiene tutti con il fiato sospeso è l’esito del ricorso al Tar promosso dal Comune, atteso per il 3 settembre. «Comunque prima del 7 settembre, data fissata per la chiusura dello sportello» sottolinea Federico Campatelli, ex sindaco di Gambassi e oggi collaboratore di Anci.

«Non ci stiamo alla chiusura dell’ufficio postale – attacca il sindaco Alessio Falorni, pungolato anche su questioni extra la cui animata discussione è stata rinviata ai giorni della Festa dell’Unità – Si tratta di un servizio, nato pubblico, creato nel tempo con i soldi dei cittadini, che non può essere trattato secondo una mera logica aziendalista. Chiudere significa privare una frazione distante dai servizi e con abitanti in molti casi in su con l’età di un punto di riferimento importante, sociale. Prima di tagliare i servizi visti gli stipendi che girano a partire da quello dell’ad Caio, valutino la strada della spending review come imposto ai comuni», l’attacco di Falorni. Che precisa: «Nessun ricatto ma se vanno via loro, i cittadini potranno fare lo stesso portando via da Poste i risparmi». E scattano l’applauso e il ‘bravo’ spontaneo di chi è deluso.

«C’è un tavolo aperto con proprietà e governo – continua Oreste Giurlani, presidente dell’Uncem – Entro oggi il presidente della Regione Rossi incontrerà il sottosegretario Giacomelli e forse l’ad di Poste Italiane, Caio. Consegnerà loro la nostra proposta: sì alla riduzione del servizio, no alla chiusura. Siamo pronti a sostenere anche economicamente l’operazione – prosegue provocatoriamente Giurlani – Ma con gli stipendi che girano in azienda, voler far funzionare il bilancio chiudendo 59 sportelli in Toscana è inaccettabile». Intanto in attesa dell’esito del ricorso Tar «il secondo che abbiamo dovuto presentare, dopo che sotto elezioni l’ipotesi chiusura era stata congelata, annullando il nostro primo ricorso – conclude Giurlani – faccio appello anche ai parlamentari, perchè siano al fianco dei cittadini».