Oliveto e le tracce di Brunelleschi. Castello-Cupola: quante analogie

Il professor Ricci: ‘L’attribuzione al maestro? Vi svelo gli indizi’

Massimo Ricci al castello di Oliveto. Foto Gianni Nucci/Fotocronache Germogli

Massimo Ricci al castello di Oliveto. Foto Gianni Nucci/Fotocronache Germogli

Castelfiorentino, 23 novembre 2015 - Non solo la Cupola di Piazza del Duomo di Firenze. Tra i lasciti di Filippo Brunelleschi alla Toscana e al mondo, c’è anche il Castello di Oliveto a Castelfiorentino. A sostenerlo - come vi abbiamo già raccontato nei giorni scorsi - è il professore Massimo Ricci, esperto mondiale del Forum Unesco, massimo interprete dell’architettura di ser Filippo, che ieri ha fatto il punto sugli indizi trovati. «Non possono esserci dubbi: qui c’è la mano del Brunelleschi», ha detto Ricci. Seguendo la sua tesi, il mosaico storico-culturale dell’Empolese Valdelsa si arricchisce di un altro tassello di grande valore. «Brunelleschi non ha lasciato niente dei suoi lavori preparatori - ha spiegato Ricci - Ma certi indizi sono inconfutabili e non possono che essere collegati a lui. Da quando ho messo piede nel Castello, non ho avuto dubbi».

Per capire gli indizi evidenziati da Ricci sulle tracce del padre del Rinascimento, occorre fare un passo indietro nel tempo di 600 anni, quando Brunelleschi si assentava durante i lavori della Cupola per recarsi in Valdelsa, come attestano alcuni documenti. Qui avrebbe diretto i lavori per costruire la fortificazione della residenza dei Pucci, fornitori della calcina per il cantiere del Duomo. «La struttura, che si trovava vicino alla via Francigena, andava protetta dai saccheggi - dice Ricci - Prima furono costruite le torri, utilizzate come presidio in tempi di grande rischio bellico». Per la loro costruzione fu scelto di ricorrere ai mattoni, anziché alla pietra: una metodo innovativo, già adottato per la Cupola. Un altro indizio è il «percorso di guardia interno», soluzione innovativa introdotta da Brunelleschi in controtendenza con i percorsi esterni costruiti fino ad allora. Questa la risposta di Brunelleschi alla minaccia rappresentata dall’avvento della polvere da sparo.

Ma gli indizi vanno oltre il Brunelleschi ingegnere e riaffiorano nell’essenzialità dei particolari stilistici. «La porta brunelleschiana si contraddistingue per la purezza dello stile - garantisce il professore fiorentino - I portali sono presenti nelle due soluzioni del portale classico concluso con arco di mezzo acuto e quello architravato con architrave inginocchiata finito a fascia, la cui derivazione è anche qui fin troppo scontata. Le volte con i peducci la cui presenza e il cui stile si ritrovano nel caso più conosciuto dell’Ospedale degli Innocenti». Poi c’è il pozzo, in cui «la rispondenza con l’arte del maestro è così forte da superare ogni più severa dubbiosità». Infine il ballatoio, per Ricci una perla architettonica: «Siamo di fronte ad un dispositivo anomalo che non potrebbe stare in equilibrio statico, ma è in piedi da più di seicento anni. È la testimonianza migliore, la sua firma: è nella sfida lanciata alla forza di gravità che vedo la mano del Brunelleschi».