Gorelli, il giorno del giudizio: parla la madre

Mercoledì il verdetto definitivo della Cassazione sull’omicidio del carabiniere Santarelli

Irene Sisi, mamma di Matteo Gorelli

Irene Sisi, mamma di Matteo Gorelli

Empoli, 25 aprile 2015 - Mercoledì la Cassazione chiuderà la vicenda processuale che vede Matteo Gorelli, 23 anni, di Cerreto Guidi, condannato in appello a 20 anni per l’omicidio del carabiniere Antonio Santarelli e il ferimento (ha perso un occhio) di un secondo miltare, Domenico Marino. Gorelli si trova nella comunità milanese Exodus di don Mazzi. Studia scienze delle comunicazioni all’università Bicocca, scrive libri di poesie, è impegnato in attività culturali che coinvolgono altri detenuti. Se la suprema corte confermasse i 20 anni, per lui entro breve si riaprirebbero le porte del carcere dopo aver scontato un anno e mezzo di prigione. I suoi avvocati puntano all’annullamento della sentenza e alla celebrazione di un secondo processo d’appello. Ad attendere il verdetto la vedova Santarelli, Claudia Francardi, il carabiniere mutilato e la mamma di Gorelli, Irene Sisi, 39 anni, impiegata a Empoli.

Signora Sisi, è consapevole che suo figlio potrebbe tornare in una cella?

«Sono preparata, tento di non pensarci focalizzando l’attenzione della mente anche su altro. Con Matteo di questo però non parliamo. Attendo con speranza, ma è lui, nessun altro, che affronta questo momento. Mio figlio deve scontare la sua pena, che non è o non sarà soltanto il carcere ma qualcosa di più intimo, nel profondo della coscienza».

Quando ha incontrato Matteo l’ultima volta?

«Due settimane fa, ci sentiamo quasi tutti i giorni. Anche Claudia (la vedova dell’appuntato, ndr) l’ha incontrato di recente da don Mazzi». La prima volta che vittima e colpevole incrociarono i loro sguardi, ormai mesi fa, sempre all’Exodus, la vedova pose un rosario nelle mani del ragazzo. Sì, perché Gorelli e la madre hanno chiesto perdono e Claudia Francardi ha perdonato l’assassino del marito. Le due donne hanno fondato l’associazione ‘AmiCainoAbele’, e girano l’Italia a raccontare una storia di morte e strazio che ha incredibilmente germogliato amicizia e amore. «Alla gente che ci ascolta – spiega Irene Sisi – parliamo della possibilità di avere una seconda possibilità. E non è un gioco di parole. Parliamo di riconciliazione, di compassione, dell’esserci quotidianamente l’uno per l’altro, di valori più potenti del perdono e basta».

Suo figlio cosa pensa dell’associazione?

«E’ felicissimo, ci dà un sacco di spunti».

Domenico Marino, il carabiniere che ha perso un occhio, non ha perdonato...

«L’ho incontrato tre anni e mezzo fa, l’unica volta. Rispetto la sua decisione».

Com’è stata la sua vita dopo il 25 aprile 2011, il giorno dell’aggressione, quattro anni fa esatti, e ancora di più dal 2012 con la morte di Santarelli?

«Mi sono interrogata sul mio ruolo di madre. Ho cercato una risposta al perché sia accaduto. All’inizio, è comprensibile, ho sentito intorno a me isolamento e diffidenza. Poi ho iniziato lentamente a perdonarmi, ti guardi intorno e ti riconcili anche con gli altri. E’ come rinascere».

Cosa l’ha aiutata in questo percorso?

«La riscoperta della fede, un po’ come accaduto a Matteo. Alcuni amici di sempre rimasti fedeli. E gli avvocati che difendono mio figlio, Luca Tafi, Paolo Francesco Giambrone e Lorenzo Zilletti».

Torniano a mercoledì, la Cassazione potrebbe...

«Sarà quel che Dio vorrà».