Braccianti dell’Est sfruttati nei campi. «Finora ignorate tutte le denunce»

Baccanelli (Cgil) parla anche del fenomeno aziende ‘senza terra’

Lavoratore impegnato in una vendemmia (Foto Germogli)

Lavoratore impegnato in una vendemmia (Foto Germogli)

Empoli, 29 settembre 2015 - La questione caporalato nell’Empolese Valdelsa, ma come vedremo anche ben oltre, si arricchisce di particolari inquietanti. Da un lato emerge, lo fa notare Francesco Baccanelli della Flai-Cgil (sindacato del settore agroalimentare), che i lavoratori gestiti, se si può usare questo termine, dai caporali sono persone che vengono dai Paesi dell’Est Europa. «Non posso essere più preciso – spiega Baccanelli – perché i lavoratori italiani con cui ho parlato si basano sull’accento, visto che gli interessati non sono molto disponibili a socializzare. Gli autisti dei pulmini, o furgoni, sono anch’essi dell’Est. Secondo le nostre informazioni, i caporali da noi danno appuntamento in un piazzale nella frazione di Villanova verso le 5 del mattino». D’accordo che in campagna si comincia a lavorare presto, ma in questo caso influisce anche la destinazione di questi contadini, spesso improvvisati per bisogno economico. «Sì, infatti vengono portati a lavorare nei campi della zona, ma talvolta anche in località più lontane. Purtroppo si può parlare di un fenomeno diffuso».

L’USO irregolare della manodopera non si limita al caporalato classico: chi elude le norme sul lavoro non manca di fantasia. «E’ vero. Basti ricordare – aggiunge Baccanelli che il mondo delle campagne lo conosce come le sue tasche – le cosiddette aziende senza terra. Assistiamo con sempre maggiore frequenza, e anche da parte di italiani, della nascita di aziende agricole a cui manca la materia prima, la terra. Il metodo, tutto sommato, è semplice. Si costituisce un’azienda agricola, naturalmente con relativa partita Iva, e si ‘prendono’ dei lavoratori, dopo essersi assicurati l’appalto di uno o più poderi. Molto spesso l’imprenditore ha come bene aziendale soltanto uno o più pulmini o furgoni (dipende dalla mole di lavoro) a bordo dei quali vengono spostati i lavoratori. Si tratta di persone che risultato all’Inps, però, e qui scatta il lavoro grigio, pur lavorando ore e ore ogni giorno, vengono retribuiti in misura minore di quanto effettivamente fatto, quando non lasciati a casa dopo un certo periodo. Chiedere il dovuto, poi, diventa difficile perché queste aziende spesso cambiano nome: in un certo senso spariscono». Sembra quasi che abbiano imparato la lezione dagli imprenditori cinesi più disinvolti che chiudono dopo due anni per riaprire l’attività in un comune vicino, in questo caso evitando il fisco.

IL SINDACALISTA ha poi qualcosa da recriminare per l’accoglienza data alla lettera che ha inviato ai sindaci, alle associazioni di categoria degli agricoltori, all’Inps e agli uffici territoriali del ministero del Lavoro per una cabina di regia sui problemi dell’agricoltura. «Alla mia lettera, che ha la data del 21 luglio, nessuno ha risposto». Eppure il problema riguarda una platea potenziale di oltre 2.000 lavoratori.