Atti vandalici e scritte ingiuriose. «Un problema di educazione civica»

Parla la psicologa Lara Pelagotti, che insiste sul ruolo della scuola

Scritte nel cortile dell' Itis Brunelleschi-Ferraris e Liceo Pontormo. Foto Nucci/Germogli

Scritte nel cortile dell' Itis Brunelleschi-Ferraris e Liceo Pontormo. Foto Nucci/Germogli

Empoli, 29 marzo 2017 - «L’educazione civica va rimessa al centro di tutto, a partire dai banchi di scuola. Non è né banale né scontata né superata». Ecco qua, alla fine “si stavameglio quando si stava peggio”. Lo dicevano i nonni ed evidentemente se la saggezza popolare è tale, un perché ci sarà. La conferma arriva anche da chi di professione ‘comprende’ gli altri. Partendo da gesti e azioni, ne approfondisce l’essenza. E’ Lara Pelagotti, psicologa empolese, pronta a leggere con noi cosa sta dietrola scelta di imbrattare un palazzo, una strada, una panchina. Un bene di tutti.

Che gusto c’è nel vandalizzare la propria città?

«Di base, ci sono la voglia di rompere conl’ordine e di sfidarelalegge. Detto questo, ognuno ha una motivazione personale chelo spinge ad andare oltre il consentito».

Si tratta di un mondo variegato?

«Quello del vandalismo è un fenomeno vasto e complicato. Un esempio: il writer che disegna graffiti ha un obiettivo ben diverso rispetto a chi disegna una svastica. Pur infrangendo anche lui la legge».

In che senso?

«Il graffitaro vuole raccontare un’identità culturale, la storia del suo gruppo. Chi verga una svastica comunica invece il suo pensiero, una posizione di odio verso altro ben identificato».

Di fatto, siamo di fronte a un modo di trasmettere emozioni…

«Certo. Di fatto, tra un messaggio lasciato sulla bacheca dei social network e uno dipinto per strada c’è una sola differenza: quest’ultimo denuncia poco rispetto per la legge e per la comunità».

Sono emozioni fuori controllo?

«Si può parlare di un gesto di impulso, dove l’emotività prende il sopravvento sulla razionalità. In generale, c’è una sorta di superficialità nel valutare le conseguenze personali e ‘di comunità’ che un atto vandalico porta con sé».

Quindi, qual è la chiave di volta?

«L’educazione, quella classica. Il ragionare sul giusto e lo sbagliato, su diritto e dovere. E’ quel qualcosa che ti permette di capire che un luogo da te frequentato è importante e da salvaguardare, che tu sei parte della città in cui vivi e che vai a danneggiare».

Quindi, guai a sottovalutare certe libertà?

«Assolutamente. Bisogna cogliere l’occasione per insegnare che ci si può esprimere in altri modi. Dire “Non fa niente” non è l’atteggiamento corretto».

E qui entra in campo l’educazione civica…

«L’educazione civica ha molti contenuti, tra questi ci sono tanto il rispetto del monumento tanto il rispetto dell’altra persona. Per questo, deve essere riscoperta».

Può evitare anche gesti più gravi, vedi panchine spezzate o cestini divelti?

«Il concetto è lo stesso: si tratta di azioni dettate da rabbia, disprezzo, dall’esigenza di esternare sentimenti. L’unica componente aggiuntiva èla violenza che accompagna l’azione».