Tuti, il geometra nero degli Anni di Piombo

In viale Boccaccio a Empoli morirono il brigadiere Falco e l’appuntato Ceravolo

Tuti fa il saluto fascista durante il processo del '76 (Archivio storico Pressphoto)

Tuti fa il saluto fascista durante il processo del '76 (Archivio storico Pressphoto)

Empoli, 23 gennaio 2018 - Ventiquattro gennaio millenovecentosettantacinque. E’ un venerdì e fa un freddo cane. Al commissariato di polizia di piazza Gramsci l’aria è serena. Gli Anni di Piombo sono visti come un fastidio lontano. Qui si lascia la porta di casa aperta e ci si conosce tutti. Sì certo, si conosce bene anche Mario, il geometra del Comune. C’era anche lui fra i ragazzi che negli anni Sessanta frequentavano il ‘K2’, quel circolino in piazzetta della Propositura dove la giovane Empoli si riconosceva e si divertiva. Fra loro c’era anche un altro giovanotto. Tale Arturo Rocca che poi avrebbe scelto un lavoro difficile in quegli anni. Il poliziotto. A Empoli. Nel 1975.

Tuti Mario aveva fatto le medie alle Fucini, compagno di classe di Graziano Cioni, così per dire che la vita a volte avvicina gli opposti – i Tuti, i Rocca, i Cioni – e poi li spedisce a migliaia di chilometri di distanza. Un tipo tranquillo, Mario. Preciso, silenzioso, a scuola se la cavava bene in italiano. Abitava davanti alla Pinetina e per anni l’elenco della Sip aveva continuato a declamare «Tuti geometra Mario, via Cavour 48». Geometra sì, era diventato. Del Comune, perdinci. Posto fisso, posto sicuro, conquistato dopo il diploma, la laurea in Architettura nel ’71 e un breve passaggio alla Pirelli prima di approdare in Comune. Il geometra aveva una bella famiglia, moglie e figli. Il 24 gennaio 1975 aveva ventinove anni. Da quel giorno tutto cambia. Da quel giorno lo chiameranno Caterpillar.

Ma al commissariato di piazza Gramsci non lo sanno. Cioè sanno qualcosa, poco. Sanno che Mario colleziona armi, che è molto vicino alla destra. Ed è troppo tardi quando scoprono anche che è vicino alla lotta armata. Anzi, che c’è proprio dentro perché la teorizza da un po’. E’ fascista e non lo nasconde. La sua parabola parte dalla sezione di Pisa del Movimento sociale italiano nel 1970. Troppo morbidi, troppo borghesi. Così si avvicina alla destra extraparlamentare, a Ordine Nuovo. Che è quello che lui cerca: un ordine nuovo. A Empoli se lo ricordano bene, in quegli anni, anche per la distribuzione del mensile ‘L’orologio’, rivista dell’area della destra radicale. Però nel ’73 lo Stato scioglie Ordine Nuovo e per Tuti è una chiamata alle armi. O una dichiarazione di guerra.

Nasce così il Fronte nazionale rivoluzionario, un’organizzazione che riunisce sotto lo stesso tetto i fascisti toscani che s’ispirano agli ideali della Repubblica di Salò. Che rivogliono la Repubblica di Salò. A ogni costo e con ogni mezzo. Tra la fine del ’74 e il gennaio del ’75, il Fronte si fa notare con una serie di attentati a bassa intensità a tralicci e binari ferroviari. Poi il 22 gennaio due uomini di Tuti, Luciano Franci e Piero Malentacchi, vengono arrestati mentre stanno per far saltare in aria la Camera di commercio di Arezzo. Le indagini scoprono un contatto diretto col geometra del Comune di Empoli. Che, si sa, ha un arsenale in casa, colleziona armi e ama la caccia. «Perquisiamolo così vediamo se s’arresta», dicono alla Digos di Firenze. E’ la sera di giovedì 23.

Il 24 arriva l’ordine al commissariato di Empoli. E’ venerdì, il fine settimana è alle porte. E non solo. Proprio quella sera è fissata una bella cena all’Osteria Bianca per festeggiare l’arrivo di un giovane poliziotto in città, il commissario Antonelli. «Siete tutti invitati», si dicono fra loro. Ma c’è da fare quella perquisizione a Mario, nella sua casa all’inizio di viale Boccaccio. Ne parlano. A chi tocca? A loro: brigadiere Leonardo Falco e appuntato Giovanni Ceravolo. «Chi? Mario? Il Tuti?», interviene Arturo Rocca. Già, quell’Arturo Rocca del circolino, del ‘K2’. «Dai, ragazzi, lo conosco, vengo anch’io, così si fa prima».

Dice che Tuti sapesse che lo volevano arrestare dalla sera prima. Ma, dicono altri, se così fosse stato, sarebbe scappato. E invece sente suonare il campanello e apre la porta. «Polizia». Gli controllano le armi, poi i poliziotti trovano una bomba a mano in dotazione all’Esercito, così l’appuntato Ceravolo torna alla macchina, in strada, per chiedere alla centrale cosa fare. E’ in quel momento che Tuti estrae un’altra arma nascosta e non registrata. E’ un fucile mitragliatore. E fa fuoco. Uccide subito Falco e ferisce gravemente Rocca. C’è chi sostiene che era impossibile non ammazzarlo a quella distanza e che lo abbia fatto apposta, a risparmiarlo, proprio perché i due si conoscevano. Ceravolo rientra in casa e finisce anche lui sotto i colpi del mitra. E’ una strage. «C’era sangue ovunque», diranno i testimoni. Sangue delle due vittime e sangue del ferito cui un proiettile ha tranciato l’arteria femorale. Ma per miracolo se la caverà.

Caterpillar scappa con 4.600 lire in tasca a bordo della sua macchina. Lo cattureranno a Saint-Raphael, in Costa Azzurra, il 27 luglio dopo un conflitto a fuoco con la polizia, che lo trova in Francia su indicazione del neofascista pisano Mauro Mennucci, ingolosito dalla taglia da 30 milioni di lire che il ministero dell’Interno aveva messo sulla testa di Tuti. Mennucci parla, ma quei soldi non li vedrà mai. E non farà una bella fine perché Caterpillar, da una gabbia del tribunale di Bologna, nel luglio 1982 decreta la condanna a morte di tutti i camerati che lo hanno tradito. Tutti? No, uno solo. Quel Mauro Mennucci, che nell’intervallo della semifinale dei Mondiali di calcio Francia-Germania di poche sere più tardi, esce di casa per comprarsi un gelato e, al rientro, infila la chiave in una porta che non aprirà mai, freddato da due colpi di pistola. Perché anche dietro le sbarre Caterpillar non si arrende. Nel carcere di Novara, nel 1981, insieme a Pierluigi Concutelli aveva infatti ucciso un ‘infame’, Ermanno Buzzi, strangolandolo con i lacci delle scarpe.

Il casellario giudiziale, alla voce Tuti Mario, riporta la condanna a due ergastoli per tre omicidi e a 14 anni di reclusione per aver guidato la celebre rivolta dei detenuti nel carcere di Porto Azzurro nel 1987: otto giorni in cui sei ergastolani capeggiati proprio da Caterpillar si asserragliarono nell’infermeria della prigione con 36 ostaggi. Mario Palazzo, vicecomandante della polizia penitenziaria a Porto Azzurro, raccontò anni fa quest’episodio: «Feci arrivare a Tuti una rosa rossa che lui stesso aveva chiesto. Doveva regalarla all’assistente sociale, unica donna in ostaggio. Così Tuti volle dare la sua parola d’onore, pubblicamente: nessuno dei sequestratori avrebbe abusato di lei». Alla fine non fu ucciso nessuno.

Mario Tuti nel 2013 ha ottenuto la semilibertà. Non si è mai pentito né ha chiesto perdono ai familiari delle sue vittime perché, come disse a La Nazione, «sarebbe facile dire sono pentito e chiederlo, ma mi sembrerebbe un modo per oltraggiare le vittime. Non me la sento».

«Con la giustizia credo di aver saldato il mio conto. Il carcere cambia radicalmente le persone e, anche se non amo definirmi pentito, oggi non sono socialmente pericoloso e non mi ritengo neppure una persona malvagia. Con la mia coscienza, però, il conto è ancora aperto. Non ucciderei più, ma ciò non mi consola. Provo un dolore profondo e incancellabile per ciò che ho commesso». (Mario Tuti, 2013)