Il tesoro toscano e la vendetta del boss Maniero: "Mi hanno tradito, li faccio arrestare"

Così "Faccia d'angelo" ha denunciato l'ex cognato e il broker, che risiedono tra Fucecchio e Santa Croce sull'Arno: "Quella è roba mia"

Un'immagine d'archivio di Felice Maniero

Un'immagine d'archivio di Felice Maniero

Fucecchio (Firenze), 19 gennaio 2017 - «Professionalità, costanza e sistematicità». Qualità da esperti del settore, del riciclaggio e del crimine. Queste, per il gip, le caratteristiche chiave di Riccardo Di Cicco e Michele Brotini, il primo dentista e cognato – oggi ex – di Felice Maniero, l’altro broker finanziario, tutti e due residenti in Toscana. Entrambi in manette al termine dell’indagine di Finanza e Direzione distrettuale antimafia di Venezia che ha portato al sequestro di beni riconducibili all’ex boss della Mala del Brenta. Quel ‘Faccia d’angelo’ capace di progettare sequestri ed evasioni e di mettere da parte una fortuna.

Trentatré miliardi di vecchie lire che, a suo dire, Di Cicco e Brotini, accusati di riciclaggio di proventi illeciti, non avrebbero intenzione di restituirgli. O quanto meno non in toto. Secondo Maniero, giudicato credibile dalla Dda, dopo aver nascosto il denaro mettendolo nelle mani dell’ex cognato, quest’ultimo gli avrebbe consegnato progressivamente ‘soltanto’ 6 milioni a fronte dei 17 complessivi.

Vedendosi beffato, Maniero ha descritto ai magistrati veneziani che fine avevano fatto i proventi della sua attività criminale. Ha denunciato la condotta sleale dell’ex cognato e del broker, rinchiusi nel carcere di Belluno da martedì sera dopo il blitz della Finanza in Toscana, dove entrambi risiedono tra Fucecchio e Santa Croce sull’Arno.

Indagate anche la madre e la sorella del boss, Lucia Carrain e Noretta Maniero. Le Fiamme Gialle hanno sequestrato ville di pregio e altri immobili, auto di lusso, polizze assicurative, conti correnti, fondi fiduciari e contanti, oltre a orologi di marca, gioielli e arredi per le ville tra cui quadri d’autore, mobili d’epoca e vetri di Murano.

Un tesoro frutto di «una condotta criminosa non episodica o casuale, ma scientemente determinata con operazioni sistematiche di trasferimento o sostituzione a impedire l’identificazione della provenienza delittuosa dei proventi da reato», sottolinea il gip in 120 pagine di ordinanza, un fascicolo di intercettazioni, deposizioni e verbali di sequestri che ripercorrono decenni di «condotte riciclatorie, tuttora persistenti», messe in atto con «varietà di tecniche utilizzate per raggiungere lo scopo».

Niente era lasciato al caso da Di Cicco che, «pur avendo stabile e redditizia occupazione lavorativa, per oltre vent’anni ha gestito i proventi delittuosi di Maniero», traendovi «lucro e sostentamento», né da Brotini che, «nella piena consapevolezza di favorire il riciclaggio di profitti illeciti, ha contribuito all’investimento illecito di parte cospicua dei proventi». I due saranno sottoposti oggi a Belluno all’interrogatorio di garanzia: Di Cicco sarà assistito dall’avvocato Jacopo Peruzzi.

E ci sarebbe una registrazione in cui Maniero ammetterebbe che il credito nei confronti dell’ex cognato sarebbe assai inferiore ai 33 miliardi di lire da lui dichiarati. Dettaglio che, se confermato, potrebbe portare a riconfigurare l’ipotesi del ricatto.