Empoli, 30 novembre 2009 - Il film sul Mostro di Firenze, in programma il giovedì su Fox Crime, ha ‘affrontato’ anche il duplice omicidio di Baccaiano, avvenuto nel giugno ‘82 (Antonella Migliorini e Paolo Mainardi le vittime), suscitando reazioni contrastanti: invero, a Montespertoli la ferita è ancora aperta e c’è poca voglia di riparlarne. La pellicola ripercorre in pratica gli atti giudiziari, e riporta alla ribalta un caso, quello del Mostro, che da oltre quarant’anni tiene col fiato sospeso Firenze.

 

Ne abbiamo parlato con un investigatore che collabora con l’avvocato Nino Filastò, storico difensore di Mario Vanni. E’ Davide Cannella, dell’agenzia investigativa Falco di via Veneto a Lucca. Occorre premettere che, come conferma Cannella, gli accertamenti sono ancora in corso, e quindi non ci si può spingere oltre certi limiti. Cannella sostiene di avere in mano il nome del vero mostro, e che il duplice omicidio di Montespertoli rappresenta in tal senso una delle chiavi di volta. Anzi: di vera e propria svolta.

 

Chi è stato, a suo avviso, l’autore dei duplici omicidi?
"Ho questo nome, e ne sono sempre più convinto. Spero che prima o poi su questo nome ci si possa confrontare con la magistratura, che lo conosce. E’ una persona scomparsa, ormai anni fa".

 

Avrebbe compiuto tutti gli 8 delitti?
"Tutti tranne uno, quello del 1983, a Giogoli. Perché in quel momento si trovava in galera. Guardacaso, è il duplice omicidio definito anomalo, perché le vittime furono due uomini e non un uomo e una donna. Erano i due giovani tedeschi nel furgone. Quel delitto forse è stato compiuto da qualcuno comunque molto vicino al nostro nome".

 

Cannella spiega che questo nome appartiene a quello che era il clan dei sardi, "clan assolutamente da non sottovalutare, a quell’epoca. Forse aveva avviato una scalata criminale dentro il gruppo".

 

Come si è sviluppata la vostra investigazione?
"Mi sono sempre dovuto confrontare con la storia del Mostro. Prima ero nell’Arma, ora sono investigatore privato. La conosco bene. Bisogna ricordare che, dopo che alcuni di questi omicidi erano avvenuti, una lettera anonima arriva agli inquirenti. Questa lettera dice che bisogna andare indietro a ricercare nel delitto del ‘68 a Signa per spiegare la serie. Dunque: chi può sapere che il duplice omicidio del ‘68 è collegabile agli altri? Di certo, uno che è ben addentro alla faccenda, non un estraneo. Questa lettera anonima non c’è più. E’ stata perduta. Torniamo al nostro nome: ci sono agli atti testimonianze importanti che affermano che questi aveva la pistola, che seguiva Barbara Locci prima della sua atroce fine nel ‘68, che minacciava. Avrebbe tenuto la pistola in un baule della lambretta. Sapeva sparare, andava al poligono di tiro".

 

Questo ‘nome’ ha abitato anche nell’Empolese, e sarebbe stato visto in zona anche nell’imminenza dell’omicidio Migliorini-Mainardi. Aveva alibi per gli altri omicidi?
"Non si trovano alibi. Neppure per l’omicidio del 1985, quello agli Scopeti. E’ possibile che, sulle stesse modalità del primo omicidio del ‘68, stesse tentando una scalata criminale".

 

Tornando all’omicidio di Baccaiano, perché è fondamentale la sua ricostruzione?
"Proprio perché quella sera, il nostro nome aveva forse compiuto un sopralluogo, poi la sera stessa dopo l’uccisione dei due giovani era andato ad abbandonare la macchina lontano. C’era stato un intoppo: dopo l’uccisione, non poteva praticare le famigerate escissioni sulla piazzola proprio a fianco della strada. Allora si è messo lui, il mostro, alla guida della macchina per raggiungere un luogo più appartato, macchina che però è finita nel fosso sull’altro lato della strada. Vistosi in pericolo, il mostro ha abbandonato lì l’auto, ha sparato ai fari e ha gettato via le chiavi. Ci sono giovani testimoni che percorrevano lo stradone in macchina: all’andata hanno visto l’auto della coppia nella piazzola; dopo pochi minuti, al ritorno, nel fosso. In quei pochi minuti il mostro ha rischiato seriamente di essere identificato. Ed è fuggito".