Guerra ai laboratori clandestini. "Ma per i cinesi è facile riaprirli"

Marchelli (Direzione del lavoro): sempre di più gli operai in nero

Blitz all'interno di un capannone cinese (foto d'archivio)

Blitz all'interno di un capannone cinese (foto d'archivio)

Empoli, 5 agosto 2015 - Arrivano dalla Cina e lavorano giorno e notte, senza sosta. Gli operai cinesi in tanti laboratori vengono trattati come schiavi: vivono in condizioni disumane, dormono, mangiano e lavorano nella stessa stanza. E in diversi casi i servizi igienici si trovano addirittura all’esterno della struttura. In alcune ditte ci sono anche botole per rinchiudere i clandestini quando arrivano le ispezioni. «Purtroppo, nonostante i controlli quotidiani ci troviamo troppo spesso di fronte a situazioni difficili». Carlo Marchelli lo sa bene. Lui è il responsabile dell’unità operativa vigilanza della Direzione territoriale del lavoro e da anni con la sua squadra batte a tappeto tutta la zona di Firenze e dell’Empolese Valdelsa.

Otto attività sospese negli ultimi otto giorni, come La Nazione ha raccontato proprio ieri. Trovare una ditta cinese in regola non è semplice. «I numeri dei primi sette mesi del 2015 sono impressionanti. Abbiamo sospeso l’attività di 76 aziende per gravi irregolarità che vanno dallo sfruttamento alla completa mancanza dei requisiti di sicurezza. Il numero dei clandestini è stazionario rispetto agli ultimi tre anni, ma purtroppo è in aumento quello dei lavoratori a nero: la crisi ha colpito anche il made in Cina e sempre più imprenditori sono in difficoltà a mettersi in regola». Nelle zone di Vinci, Castelfiorentino, Cerreto e Fucecchio il numero di confezioni è molto alto. Quante aziende cinesi ci sono nell’Empolese Valdelsa? «Difficile fare una stima, solo nel 2015 noi siamo entrati in 226 laboratori. Ma purtroppo ci troviamo di fronte a un’area difficile da controllare.

A differenza dell’Osmannoro fiorentino, dove gli operai lavorano in capannoni giganteschi, strutturati come alveari con all’interno diverse ditte, quindi facili da individuare, nella zona di Empoli ci sono laboratori piuttosto piccoli con in media cinque dipendenti assunti dallo stesso titolare. Dall’esterno è difficile riconoscerli, se non fosse per alcune abitudini tipiche: la biancheria stesa attorno al perimetro della struttura, gli ammassi di scarti di lavorazione, i sacchi di sudicio, gli orti». Gli imprenditori asiatici aprono per lo più in campagna... «Esatto: nell’Empolese Valdelsa la maggior parte dei fondi, ricavati spesso da garage per i quali non sempre è stato chiesto il cambio di destinazione d’uso, si trova in estrema periferia». Quanto pagano di affitto in media? «Gli spazi, almeno da quanto abbiamo potuto constatare in anni di controlli, sono quasi tutti affittati da italiani, a cifre che possono oscillare dai 350 euro fino ai 750 in base ai metri quadri. Gli operai, invece, prendono circa sette euro all’ora ma anche meno: spesso lavorano molte più ore di quelle dichiarate sui registri». Per ogni ditta che chiude ce n’è una che riapre. Come funziona? «La legge consente alle attività sospese di riaprire una volta che si mettono in regola. Nel caso in cui le irregolarità sono gravi e occorra un investimento importante per mettere la struttura in sicurezza, molte ditte preferiscono chiudere i battenti. E magari riaprire sotto un altro nome. Non è difficile cominciare con una nuova attività».