L'élite dei precari

L'editoriale

Francesco Carrassi

Francesco Carrassi

Firenze, 10 dicembre 2017 - Più che una Repubblica fondata sul lavoro (concetto di alto profilo per la dignità della persona) mi pare, la nostra, una Repubblica fondata sul precariato. E non si dica che è colpa della globalizzazione. Il precariato italiano si è fatto strada da solo da tempo, diventando un sistema parallelo di occupazione già in tempi non sospetti. E non parliamo di quello che è accaduto nella scuola. Ci sono insegnanti condannati a fare i precari a vita nonostante gli ultimi provvedimenti in materia. Il precariato si è esteso a macchia di leopardo in tutte le amministrazioni statali e in quelle degli enti locali.

Si capiscono i contratti a termine, i contratti per il periodo di prova. Non si capiscono, invece, quelli che sono mascherati, cioè di comodo. Tanto che è così diffuso il precariato, con contratto a termine, nel lavoro da fare pensare a una nuova classe sociale di lavoratori, di fatto "inferiori" rispetto a quelli che hanno un’occupazione fissa con contratto a tempo indeterminato.

Lo spunto nasce dalla protesta dei ricercatori partita da Pisa, approdata all’assemblea di Firenze, replicata a Bologna, Palermo, Sassari, Cosenza. Una protesta su scala nazionale che chiede risorse per stabilizzare precari che, al pari della scuola, hanno toccato il record dell’instabilità. L’obiettivo stabilizzazione, definito come etico e sociale, è al primo e unico punto della protesta in pressing sul Parlamento e sul Governo. L’atttendono in 3.300 impegnati come forza lavoro nei diversi dipartimenti e nelle diverse sedi del Centro nazionale delle Ricerche.

E qui c’è davvero da dire che si è toccato il fondo. Se perfino i ricercatori, cioè gli innovatori, italiani quelli ai quali è affidato il compito di farci entrare nel futuro sono trattati in questo modo, non c’è da stupirci per gli altri, ma c’è da vergognarsi quando si parla non solo di “cervelli in fuga” ma anche di azioni per fare rientrare i ricercatori all’estero. Ma come si fa a mettersi in competizione per esempio con la Germania dove un ricercatore guadagna tre volte di più che in Italia, e in Olanda addirittura cinque volte di più?

E intanto finisce sotto i riflettori, da parte di chi chiede un’unica regia, anche il fatto che la ricerca pubblica in Italia è trattata come uno spezzatino quanto a organizzazione, con le competenze e le risorse (poche, ovviamente) distribuite tra diversi ministeri. E’ vero che stanno arrivando i primi finanziamenti per sanare questa situazione incancrenita ma è anche vero che sono stati e sono ritenuti largamente insufficienti, sicuramente non adeguati a dare risposte organiche e strutturali. Non è solo questione etica e sociale stabilizzare i precari, è anche una esigenza strategica per non perdere i treni del futuro. Altro che cervelli in fuga, altro che proposte per il rientro. O si cambia passo o non si va lontano se si tratta così l’élite del precariato.