Lunedì 6 Maggio 2024

Cambiare è migliorare

L'editoriale del Direttore de La Nazione

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

Firenze, 28 dicembre 2014 - PAPA FRANCESCO ha un vantaggio terreno – fra gli altri riconducibili a sfere spirituali – che il premier Renzi gli invidia: se decide di girare la giostra delle poltrone, può farlo senza chiedere approvazioni e senza rischiare bocciature dei provvedimenti. Eppure la sua mano pesante con la Curia romana, nelle parole e nei fatti, provoca qualche malessere identitario nel mondo cattolico, senza per questo arrivare a sostenere – sia detto con tutti i riguardi del caso – che anche Bergoglio ha i suoi Fassina. E’ difficile pensare che gli alti prelati rimossi, cestinati con poco riguardo per limiti di età o qualche altra giustificazione, se ne stiano silenziosi dentro le mura leonine a godersi la pensione e non difendano, invece, la Chiesa che ora Bergoglio sta smantellando con tanta veemenza. La stessa Chiesa, cresciuta con poche regole negli ultimi anni della malattia di Giovanni Paolo II e sfuggita di mano per l’incolpevole fragilità di Benedetto. Fuoco amico o no, la rivoluzione che Francesco sta attuando è l’unico sistema per ripulire le stanze vaticane, così sporche da costringere alla resa un Papa.

ED È SORPRENDENTE leggere o sentir dire che alcuni cardinali, che pure votarono con apparente entusiasmo il vescovo italo-argentino nella Cappella Sistina, si siano già pentiti di quella scelta. La immaginavano, forse, velleitaria, speravano magari che fosse neutralizzabile, e si sono accorti tardi che lo Spirito Santo aveva fatto le cose sul serio, scegliendo l’uomo che da San Francesco non aveva preso solo il nome ma anche la potenza rivoluzionaria. Le perplessità di coloro che giudicano pesanti i toni usati dal Papa per definire le quindici malattie della Curia (“Alzheimer spirituale“; “Schizofrenia esistenziale”), ricorda la sorpresa di chi elesse Giovanni XXIII e pensava di avere messo sul trono di Pietro, un pontefice di transizione, un parroco semplice e inoffensivo, scoprendo invece di aver innescato una svolta epocale per la Chiesa di Roma. L’impeto di Francesco che predica la povertà e si ostina a volerla praticare, per quanto sia possibile a un Papa, è un esempio che inevitabilmente scuote la chiesa del carrierismo, della mondanità, delle chiacchiere, dei pettegolezzi e perfino della calunnia. Parole che il perbenismo, e talvolta l’ipocrisia, hanno tenuto alla larga dal mondo ecclesiastico, come non volessero contaminarlo con peccati impronunciabili. Immaginiamo che cosa Bergoglio abbia trovato al suo arrivo in un Vaticano, più proiettato verso il potere temporale che spirituale, per impugnare la sciabola e non stancarsi di usarla con la stessa furia che i vangeli raccontano abbia usato Gesù per cacciare i mercanti dal tempio. La rivoluzione della Chiesa è la stella cometa che anche il nostro Paese dovrebbe seguire, per liberarsi del marcio che sempre affiora. Ma con la pervicacia che sta mostrando Francesco, senza paura perché sulla strada della pulizia non si potrà mai restare da soli. Il 2015 dovrà essere un anno di consolidamento per tutto quanto abbiamo conosciuto di nuovo e per quanto è stato promesso di liberarci del vecchio, soprattutto della corruzione. Diceva Winston Churchill: «Non sappiamo se cambiando si migliora, ma sappiamo che per migliorare bisogna cambiare». La convinzione è che, al punto in cui siamo, cambiando si può solo migliorare.