I capponi e i territori

L'editoriale del direttore de La Nazione, Pier Francesco De Robertis

Pier Francesco De Robertis, direttore della "Nazione"

Pier Francesco De Robertis, direttore della "Nazione"

Firenze, 19 aprile 2015 - Di "caso"  in "caso", il centrodestra si avvia gioiosamente e litigiosamente a un turno elettorale che se volessimo usare un eufemismo, e non vogliamo limitarci a farlo, definiremmo "difficile", e se invece intendessimo usare il linguaggio della verità, come ci piace fare, profetizzeremmo "probabilmente disastroso". Dalla Puglia alla Toscana passando per la Liguria e il Veneto è tutto un fiorire di distinguo, di capannelli, di combriccole l’una contro l’altra armata, di gente che gioca per perdere e non per vincere. Capita, in politica come negli affari o nella vita, che tocchi talvolta correre per la seconda posizione, o anche la terza, con la differenza che stavolta la necessità momentanea e localizzata è diventata l’unica strategia che si riesce a dispiegare.

Così nel campo dei moderati germogliano e crescono improbabili fiori, tipo l’ostico Salvini, così si pena a fare le liste e trovare i candidati più di quanto il Pd impieghi per individuare la quadra sulle legge elettorale, così si stimola una disaffezione nell’elettorato di centrodestra da far prevedere alte soglie di astensionismo, che con l’aria che tira rischia di diventare l’unico grido a disposizione di un universo di valori senza rappresentanza.

Quello che è avvenuto in Puglia ricorda un vecchio congresso democristiano, quanto successo in Toscana fa venire in mente gli anni del disgregamento della prima repubblica, senza peraltro di quel mondo possedere un qualche grandezza. In riva all’Arno il centrodestra ha vissuto giorni difficili perché in preda a contrasti fortissimi tra le varie anime del partito, risolte infine incoronando un buon candidato, Stefano Mugnai, che però si porta dietro in questa campagna elettorale le ferite profonde di una battaglia interna dolorosa, ben più dannosa delle solite dispute che sempre accompagnano la politica. La Toscana poteva essere l’occasione data al centrodestra per ripartire, per trovare una figura magari esterna ai partiti e cercare un afflato unitario, e invece i protagonisti della vicenda si sono comportati come i capponi di Renzo, che si beccavano a vicenda nonostante stessero tutti per essere spennati. Un peccato.

Che lascia interdetti su che cosa potrà accadere in futuro, con una leadership al tramonto, anzi già tramontata, e un’altra che stenta a sorgere. Il futuro del centrodestra è un’incognita, che non fa bene al Paese, anche perché questa situazione potrebbe durare a lungo e addirittura peggiorare. Un piccola lezione, o forse solo una speranza, potrebbe allora arrivare dai territori, come lo è stata anche per il Pd, che solo due o tre anni fa era allo sbando ma che alla fine, proprio dalla sua classe dirigente "locale" ha trovato l’energia necessaria lo scatto.

Ci riferiamo ad esempio a quanto sta accadendo in Umbria, dove la presidente Marini è insidiata nei sondaggi e nelle previsioni da quello che sarà il suo sfidante, il sindaco di Assisi Claudio Ricci, candidato unico del centrodestra, amministratore molto apprezzato dalla popolazione umbra e per questo in fortissima scesa pur in una regione tradizionalmente rossa. Ecco, è proprio da qui, dai sindaci e dagli amministratori che il centrodestra può centrare una coesione e ripartire. Sempre che sindaci e amministratori di centrodestra qualcuno ne rimanga. Di questo passo non è per niente sicuro.

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