Salti mortali senza rete

L'editoriale di Pier Francesco De Robertis

Pier Francesco De Robertis, direttore della "Nazione"

Pier Francesco De Robertis, direttore della "Nazione"

Firenze, 1 marzo 2015 - Cari Lettori, da oggi Pier Francesco De Robertis è il nuovo direttore del vostro giornale. Abbiamo scelto di premiare il lavoro svolto in oltre 25 anni di collaborazione con i nostri quotidiani, per continuare il dialogo instaurato con voi attraverso i suoi editoriali e le sue inchieste, nell’ottica di formazione e valorizzazione delle risorse interne al nostro Gruppo. Formuliamo a Pier Francesco De Robertis i migliori auguri di buon lavoro e ringraziamo Marcello Mancini, che continuerà a scrivere per voi come editorialista, per aver contribuito a consolidare l’autorevolezza della storica testata.

SICCOME la campanella dell’anno scolastico l’ha stabilita lui - il 2018 - il bilancio del primo anno di governo di Matteo Renzi assomiglia al termine del primo trimestre. Il più facile perché si può rimediare, il più difficile perché di lì alla fine fai in tempo a peggiorare. Una linea sottile che divide il successo dall’insuccesso, e consente solo un abbozzo di giudizio. Che però esiste. In sostanza: bene su alcune riforme economiche, molto bene su Mattarella, molto bene sulla responsabilità civile dei giudici, così così sulle riforme istituzionali, male sulla politica estera, male sulle liberalizzazioni, così così sull’Europa, malino sulla scuola che doveva essere il gioiello della corona e che ha prodotto poco.

In ogni caso un anno vissuto pericolosamente, con una furia quasi marinettiana giocata all’insegna della velocità, con un eccesso specie all’inizio di effetti speciali tipo le slides sulla vendita delle auto blu su e-bay, piena di salti mortali, di avanti-indietro a volte incomprensbili e imprevisti, di patti stretti e poi rinnegati, che un po’ fanno parte del linguaggio della politica moderna, e molto del personaggio e della sua necessità di scuotere una macchina - l’Italia - da troppi anni ferma ai box. Con l’ultimo salto mortale - quello della rottura del Nazareno e la conseguente possibilità di un pericoloso redde rationem con la minoranza dem - che rischia di essere per Renzi il più pericoloso di tutti. Il successo più importante di questo anno è senza dubbio il Jobs Act, e non peraltro l’Europa ne ha riconosciuto il valore. Gli effetti li dovremo valutare di qui a un po’ di tempo, ma che la Cgil lo abbia duramente contestato depone a favore del premier.

Stesso per la responsabità dei magistrati, e anche qui l’opposizione dei giudici è una medaglia sul petto, sia di Renzi sia del Guardasigilli. Le riforme costituzionali sono un cantiere aperto, ma dell’abolizione del bicameralismo paritario si parlava da anni e nessuno era riuscito a portarla a casa, la fine delle province anche, ma sulle regioni di poteva e doveva fare di più. Ridurle a cinque o dodici no, ma togliere quelle sotto il milione e mezzo/due di abitanti e limitare lo scandalo delle "speciali" era un obiettivo a portata di mano.

Sull’Europa è stata positiva l’insistenza sui temi della crescita, ma la nomina italiana nel nuovo consiglio europeo è stata una fiche sprecata. La Mogherini non conta niente e per noi sarebbe stato più proficuo un commissario tipo all’agricoltura o all’immigrazione. Male poi anche sulle liberalizzazioni, con il liberal Renzi molto peggio del comunista Bersani a suo tempo. Ora si può far meglio nel secondo e terzo trimestre, certo, perché Renzi si ritrova senza opposizione e con un venticello di ripresa che inizia a spirare. Sempre che i salti del premier non siano tutti mortali. Perché la rete stavolta non c’è.