Giovedì 2 Maggio 2024

La rabbia del David

L'editoriale di Marcello Mancini

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

Firenze, 11 gennaio 2015 - Il giglio di Francia cresce nella valle dell’Arno. E’ l’iris, i vecchi fiorentini lo chiamavano giaggiolo: lo stesso che rappresenta Firenze. Fra Parigi e questa terra toscana c’è un legame forte, scolpito dalla storia, da Caterina de’ Medici che diventò regina di Francia, in giù. Perciò l’immagine della solidarietà universale verso i francesi, per noi è consegnata al David di Michelangelo in piazza della Signoria, con il lutto al braccio e la bandiera francese appoggiata sul piedistallo. Ha fatto il giro del mondo. Firenze ha un’altra corda che vibra in questi giorni attraverso le parole della massima autorità delle comunità islamiche in Italia, che è anche l’imam della città. Praticamente un fiorentino, gli italiani hanno imparato a conoscerlo perché ha frequentato tutti gli studi televisivi, testimone corteggiatissimo della cultura musulmana, interlocutore rappresentativo e noto come uomo del dialogo. Appena dieci giorni fa era stato ospite in Palazzo Vecchio per un pranzo interreligioso con tutte le confessioni, accanto al cardinale, al rabbino, a esponenti evangelici e buddisti. Una presenza impegnata sul fronte della pace e dell’ecumenismo.   

E’il volto dell’Islam dal quale ripartire e al quale, però, chiedere un impegno vero, che non si fermi alla rituale condanna delle stragi firmate in nome di Allah. Gli sforzi per l’integrazione hanno un prezzo più alto delle parole: devono segnalare e isolare la frangia violenta, impongono un passo avanti che attenui gli incubi dei toscani e degli italiani che non sono affatto sicuri quando sentono parlare della costruzione di una moschea nella loro città. Perché temono - è difficile dargli torto - che le moschee possano diventare punti di aggregazione per qualche pericoloso fondamentalista, in transito verso la Siria, l’Iraq o un’altra Parigi. Non hanno dimenticato la rabbiosa rassegnazione di Oriana Fallaci, che nel 2005 scrisse al Papa: «Anche io vorrei un mondo dove tutti amano tutti e dove nessuno è nemico di nessuno. Ma il nemico c’è, lo abbiamo qui in casa nostra e non ha nessuna intenzione di dialogare». Fece una battaglia spietata contro la costruzione della moschea di Colle Val d’Elsa e minacciò «di farla saltare in aria» poco prima di morire, nel 2006. Quella moschea è stata inaugurata nell’autunno del 2013 e l’imam commentò: «Lo scontro fra le civiltà, qui è stato sconfitto». Che la speranza sia questa, è certo. Ma il cammino è ben più lungo, la gente continua ad aver paura e sente la minaccia della presenza musulmana. Oggi si discute anche a Firenze sull’opportunità di costruire una nuova moschea: inevitabili scintille fra la giunta di centrosinistra, che accoglie il progetto e prende a garanzia proprio l’affidabilità dell’imam fiorentino, e il centrodestra, dove Forza Italia invoca un referendum prima di decidere. Si capisce che la preoccupazione ora sia diventata terrore, perché nessuno può dimenticare l’odio spietato dei boia parigini. Se noi concepiamo il terrorismo come una scheggia dell’Islam, e riconosciamo che in quel mondo la maggioranza è comunque moderata, allora dobbiamo affidarci al coraggio dei musulmani della porta accanto per difenderci dalle propaggini violente. E loro devono capire la ragione dell’ostilità, andare incontro al messaggio di pace che trasmettono dopo le stragi - che è doveroso ma non basta - per non farlo appassire.