Martedì 23 Aprile 2024

Parigi, Eagles of Death Metal: "Vogliamo suonare alla riapertura del Bataclan"

Forte il desiderio della band di non piegarsi al terrore di quella sera

L'intervista di Vice agli Eagles of Death Metal

L'intervista di Vice agli Eagles of Death Metal

Los Angeles, 26 novembre 2015 - Gli Eagles of Death Metal, la rock band californiana che la sera degli attentati di Parigi suonava al Bataclan, non vede l'ora di tornare a calcare quel palco, quel palco dove il 13 novembre scorso tutto si è fermato, con la morte di 89 persone e le scene di terrore indelebilmente impresse negli occhi. Quando si cade da cavallo, il miglior modo per tornare a cavalcare di nuovo, è quello di tornare subito in sella. E' un paragone stupido e ridicolo se si pensa a quello che ha vissuto chi quella sera era al Bataclan, protagonista suo malgrado dell'attacco più sanguinario degli svariati che si sono verificati a distanza di poche ore a Parigi. Ma una qualche analogia c'è. C'è quel desiderio di non lasciarsi sopraffarre dalla paura, paura che i terroristi voglio iniettare in ognuno di noi. E gli Eagles non vogliono lasciarsi piegare a questo terrore. "Non vedo l'ora di tornare a Parigi - afferma il cantante Jesse Hughes, verso la fine di una lunga intervista che Vice ha fatto al gruppo a distanza di qualche giorno dai fatti di Parigi -. Ho voglia di tornare a suonarci. Voglio essere il primo gruppo che suonerà alla riapertura del Bataclan. Perché ero lì quando è calato il silenzio. I nostri amici sono venuti lì ad ascoltare il rock'n'roll e sono morti. Io voglio tornare lì e vivere". 

Queste le parole di uno dei due fondatori della band californiana la cui vita e percorso musicale è stata indelebilmente segnata da quella tragica esperienza degli attacchi di Parigi. Un'esperienza che i componenti ripercorrono in 26 minuti, raccontando a Vice come ognuno di loro ha vissuto quei momenti di terrore.

Il concerto era iniziato da circa un'ora quando tre persone armate entrano in sala e iniziano a sparare...

Eden Galindo, il chitarrista degli Eagles of Death MetalEden Galindo, il chitarrista, racconta: "All'inizio pensavo che fossero gli altoparlanti, ma mi è bastato un attimo per capire che mi sbagliavo. Proprio in quel momento Jesse è corso verso di me e siamo andati in un angolo in fondo al palco. Non sapevamo se puntavano a noi o a qualcos'altro. Boot, che fa parte del nostro staff tecnico, ha notato che uno aveva finito i proiettili e che stava ricaricando l'arma, così ha urlato 'Andiamo, andiamo', e siamo corsi via dal palco. Siamo saliti su per le scale, nel camerino a cercare Tuesday (la ragazza di Jesse). Ma non c'era. Lui (Jesse) ha continuato a salire le scale, ma poco dopo è dovuto di nuovo scendere perché c'era uno di loro. Una persona ha iniziato a sparare. Dopo essere tornati di sotto, abbiamo preso un'uscita di sicurezza che dà su una stradina laterale. I fan ci hanno visto e ci hanno aiutato". 

Matt McJunkins, , il bassista degli Eagles of Death MetalMatt McJunkins, il bassista, invece, è rimasto chiuso in una stanza con i fan: "Quando hanno iniziato a sparare, ho buttato a terra il basso e per un attimo sono rimasto nascosto dietro le tende, dietro ai monitor. C'era gente che veniva su dall'ingresso del palco. C'era il nostro tour manager Steve. E' la prima persona che ho visto. Dal suo sguardo ho capito che stavamo pensando la stessa cosa: qui non c'è via di uscita. Stavamo cercando di farlo capire alla gente. Correvano tutti verso una stanza per scappare dagli spari, d'istinto. Da dove ero io potevo vederli bene. Li vedevo sparare. Mi sono buttato di lato. Dovevo fare una scelta: correre attraverso il palco o scappare in quella stanza e incrociare le dita. Sono andato nella stanza insieme a tutti gli altri. E la gente aiutava altra gente a entrare e a salire. C'erano diversi feriti, sanguinavano. Abbiamo bloccato la porta con delle sedie. C'era un frigo con una bottiglia di champagne lasciata lì per festeggiare dopo il concerto e uno l'ha impugnata per poterla usare come arma. Davanti a me c'era una donna che era stata colpita, perdeva molto sangue. L'avevano presa alla gamba e non c'era niente da fare. Un ragazzo la teneva fra le sue braccia e faceva pressione sull'emorragia. C'era una perdita d'acqua dal soffitto e l'acqua stava iniziando ad arrivare al livello delle scarpe. Eravamo preoccupati. L'acqua stava iniziando a scendere dalle scale e avrebbe potuto far capire che eravamo nascosti lì. Sentivamo gli spari sempre più vicini, sono andati avanti per 10-15 minuti. Poi, si fermavano, riniziavi a respirare e ricominciavano. Poi, c'è stata un'esplosione che ha fatto tremare tutta la stanza e tutto l'edificio, non sapevamo cosa fosse stato. Se avesero messo una boma per far saltare il palazzo". Solo dopo hanno saputo che era un kamikaze che si era fatto esplodere.

Julian Dorio, il batterista degli Eagles of Death MetalJulian Dorio, il batterista: "La cosa che mi ha veramente sconvolto è che siamo un gruppo che pesta e quando ho sentito quel rumore ho subito capito che c'era qualcosa che non andava. Ho sentito l'odore degli spari. Ho guardato verso gli amplificatori e in quel momento è partita una seconda raffica di spari. Ho visto due ragazzi sparare all'impazzata sul pubblico. A quel punto ho iniziato a spostarmi, strisciando verso destra, nascondendomi dietro la strumentazione. Una volta raggiunta l'altra parte del palco, come diceva prima Eden, Boot e altri si sono messi a correre verso quella porta (di sicurezza). Mi sono passati davanti e io mi sono messo a correre dietro di loro".

Jesse Hughes, il cantante degli Eagles of Death MetalIl cantante Jesse Hughes"Visto che non ho visto Tuesday a lato del palco, sono salito a cercarla nei camerini. Ho aperto la porta e non l'ho vista. Mi sono affacciato sul corridoio e ho visto un uomo armato che si è girato verso di me, mi ha puntato il fucile. Ce l'avevo davanti. Mi sono girato perché sapevo che c'erano delle persone dietro di me che mi avevano seguito. Cercavano tutti una via di fuga. Ho detto loro 'No, non da questa parte', e abbiamo iniziato a scendere. Siamo arrivati all'uscita, ma non avevo ancora trovato Tuesday. Julian era uscito prima di me. Ero con Eden, che mi sembra che in quel momento mi abbia detto 'Allora?'. 'Dobbiamo uscire'. Ma non sapevo cosa fare. Quando, poi, Tuesday ha visto Julian, ho sentito la sua voce e ho capito che stava bene. Eden mi ha preso e siamo usciti. Ho immediatamente visto che tutti stavano andando nell'altra direzione, non ci stavano venendo incontro. Stavano fermi lì. Così, ho gridato: 'Muovetevi, via'. E penso che anche Julian se ne sia accorto. Nessuno sapeva cosa fare".

Shawn London, ingegnere del suonoShawn London, l'ingegnere del suono della band, offre ancora un'altra prospettiva: "Di solito sono in mezzo al palco, questa volta ero in fondo, vicino alla porta. Stava andando tutto bene, la gente ballava, si divertiva, cantava. Era tutto molto bello. Poi ho sentito il rumore, erano come petardi. Proprio alle mie spalle. Sono entrati dalla porta e hanno iniziato a sparare. Erano due. Sparavano a caso. Vedevi la gente che iniziava a cadere a terra: feriti, morti. Correvano, ma non c'erano vie d'uscita. In pratica correvano tutti verso di me, verso la consolle. Io ero ancora lì, in piedi, e vedevo l'uomo armato. Ha cercato di spararmi, ma non mi ha preso. Ha preso la consolle. Ho visto saltare in aria tutto. Allora, ho detto a quelli vicini di stare a terra. Avrà pensato che fossi rimasto ferito, perché mi sono buttato in terra velocemente. Intorno c'erano feriti. E lui ha continuato a sparare ancora, ancora e ancora. Poi, ha gridato 'Allah Akbar'. E allora ho capito cosa stava succedendo. Dietro di me c'era una ragazza che è stata colpita al petto e alla gamba. Gridava e le ho detto che dovevamo fare piano per non attirare l'attenzione. A un certo punto abbiamo capito che aveva finito i colpi. Si è fermato, penso che avesse uno zaino e che stesse cercando di tirare fuori le munizioni. Allora ho detto 'Sta ricaricando, andiamocene'. Ci siamo alzati e in sei ci siamo messi a correre verso l'uscita. Nel frattempo, lui ha riniziato a sparare. Ci siamo di nuovo buttare a terra, abbiamo aspettato che finisse anche quei colpi, saranno stati una trentina, e poi si è allontanato. Dal rumore si capiva che si stava spostando verso il palco. Ha ricaricato un'altra volta e ci siamo rimessi a correre. Ho tirato su la ragazza e l'ho letteralmente spinta in avanti. Era sotto choc. E quando ci siamo mossi, l'uomo ha cambiato nuovamente direzione. Sentivo i colpi contro i muri e le porte. Ci stava sparando. Le porte di ingresso erano di vetro. La stavo per aprirla quando si è frantumata. Il proiettile l'aveva presa. Così ci siamo passati attraverso, e ci siamo messi a correre tra i corpi".

Josh Homme, cofondatore degli Eagles of Death Metal (Wikipedia)Una volta usciti, chi prima, chi dopo, dal Bataclan, i componenti della band sono andati al commissariato di polizia. Jesse racconta di aver subito chiamato Joshua Homme, il cofondatore degli Eagles. Eden descrive la scena: "Quando siamo arrivati dalla polizia, fuori c'era ancora caos. C'erano le persone che uscivano dal Bataclan, gente coperta di sangue. Non sapevamo cosa stesse succedendo, nessuno aveva informazioni, giusto quello che si poteva sapere dai cellulari". Homme non era a Parigi con gli altri, ha vissuto tutto da remoto. "Mi ci è voluto un po' per capire che era tutto vero perché al telegiornale non ne avevano ancora parlato - spiega a Vice -. Sono andato subito nel nostro ufficio per mettermi in moto a fare tutto quello che si poteva fare. Tutto quello che si poteva fare da lì per portarli a casa". Jesse in quel momento si sentiva in colpa per aver "lasciato indietro Matt, e forse anche Debbie, e non volevo che gli fosse successo qualcosa. Avevo bisogno di sapere che erano scesi dal palco, perché quando siamo andati via non sono riuscito a vedere niente". Joshua racconta di aver ricevuto come prima cosa un messaggio: "Non riuscivo a capire. 'Hanno sparato alla gente. Hanno sparato alla gente. Hanno preso degli ostaggi. Sono ricoperto di sangue'". La cosa che più l'ha colpito dei racconti dei suoi colleghi è questa enfasi sull'eroismo dimostrato dalla gente in quella circostanza. Come Nick Alexander, il responsabile del merchandising della band, ucciso mentre stava proteggendo un'amica. "Non ha chiesto niente a nessuno - afferma Jesse Hughes -, è morto dissanguato, perché non voleva che altri ci rimettessero la pelle".

"Noi siamo sotto i riflettori, perché siamo la band che suonava - dice Homme -, ma siamo qui per tutti quei fan che non ce l'hanno fatta, la gente che non ce l'ha fatta, di cui nessuno racconterà le storie". Tra i messaggi che gli Eagles of Death Metal hanno ricevuto dopo quella sera, uno legge: "Io e il mio ragazzo Oliver ci siamo buttati dietro la strumentazione sulla sinistra del palco. Siamo rimasti nascosti lì per un'ora sperando che non ci trovassero. Una bomba - sì, quei bastardi avevano una bomba - è esplosa a pochi metri da noi. I case ci hanno protetto dalla detonazione. In un certo senso siamo salvi grazie grazie a voi".

A questo punto Jesse racconta la strage avvenuta nel loro camerino, quella già descritta alcuni giorni fa, quando era stata annunciata l'intervista. "Diverse persone si erano nascoste nei camerini. Loro sono entrati e li hanno uccisi tutti. Tutti tranne un ragazzo che si era nascosto sotto la mia giacca di pelle. La gente si fingeva morta, erano terrorizzati. Se ci sono state così tante vittime è perché la gente non voleva lasciare i propri amici. In tanti hanno fatto scudo ad altri". Joshua Homme mostra una lista di tutte le persone che non ce l'hanno fatta. "Mi ritrovo a scrivere tutti questi nomi - dice con voce strozzata -. Se penso ai genitori, vorrei parlare con ognuno di loro. Vorrei mettermi in ginocchio e dire 'Sono a vostra disposizione, per qualsiasi cosa abbiate bisogno', perché non c'è davvero molto da dire". Ed è a questo punto che Jesse Hughes tira fuori il suo desiderio di tornare a Parigi. "Mi sento fortunato di essere ancora vivo, di poter tornare a casa da mio figlio - spiega -. Mia nonna e mia mamma mi hanno insegnato a fregarmene degli stronzi. Non voglio passare il resto della mia vita a dare soddisfazione agli stronzi. Non vedo l'ora di tornare a Parigi. Ho voglia di tornare e suonarci. Voglio essere il primo gruppo che suonerà alla riapertura del Bataclan. Perché ero lì quando è calato il silenzio. I nostri amici sono venuti lì ad ascoltare il rock'n'roll e sono morti. Io voglio tornare lì e vivere". "Dobbiamo finire il tour - gli fa eco il collega -. Non abbiamo scelta. Non solo per noi e per i nostri fan, non solo per Nick Alexander, ma perché è così che viviamo. Vogliamo reclutare altra gente per prendere parte alla vita".

Infine, la rock band parla di due iniziative che sono state lanciate per raccogliere fondi per le vittime di Parigi. "Abbiamo fatto una nostra versione di 'Save a Prayer' dei Duran Duran e i fan francesi si sono mobilitati per farci scalare le classifiche. Il gruppo (i Duran Duran) ha proposto di donare i diritti e le royalty della cover alle vittime. Io e Joshua - racconta Jesse - l'abbiamo presa come una formula: abbiamo una canzone "I love you all the time". Chi vuole può fare una cover di quella canzone, devolveremo i ricavi in beneficenza, noi e la nostra etichetta. Vorrei sfidare Spotify, iTunes, Amazon, Title, chiunque del settore, ad unirsi nell'iniziativa per aiutare chiunque sia stato vittima di questi attacchi". "Noi ci siamo - conclude la band -. Per qualsiasi cosa contattateci. Non si può affrontare una cosa come questa da soli. Dobbiamo portare in giro il verbo della compassione, dell'amore, dobbiamo trasformare quello che è successo in qualcosa di più grande".

Gli Eagles invitano inoltre chi volesse dare supporto alle vittime dell'attentato a fare una donazione su thesweetstufffoundation.org

Gli Eagles of Death Metal: "Siamo a casa al sicuro, ma inorriditi"