Firenze, 14 novembre 2013 - PERCHÉ una Tavola rotonda sulle parole della discriminazione proprio in apertura della settima edizione della Piazza delle lingue che l’Accademia della Crusca, insieme ad altre istituzioni (Dipartimento di studi giuridici dell’Università di Firenze e Fondazione Cefin Alberto Predieri), dedica quest’anno a Lingue e diritti? La ragione è semplice: le parole hanno un potere straordinario, che per lo più purtroppo non è percepito come tale, il potere di escludere o di discriminare persone e gruppi sociali da diritti normalmente acquisiti. Le parole rispecchiano sì idee e atteggiamenti culturali, ma loro stesse suscitano idee e condizionano atteggiamenti culturali, le parole in altri termini possono creare la realtà.

IN UNA Piazza in cui si discuterà ancora una volta dei valori del multilinguismo, in particolare di quelli connessi alla tutela delle lingue di minoranza storiche e nuove, è parso opportuno prima di tutto riflettere e discutere di quali possono essere oggi alcune forme di discriminazione linguistiche particolarmente diffuse: dalle parole contro le donne, a quelle contro gli ebrei, a quelle in genere contro individui e gruppi considerati “diversi”. Ne parleranno studiosi che si sono occupati da tempo di questi temi.

Molti si ricorderanno il bel libro di Federico Faloppa Parole contro di qualche anno fa (Garzanti 2004), e altri avranno letto quelli più recenti di Stefano Trasatti, Parlare civile (Bruno Mondadori 2013) e Annamaria Testa, Minuti scritti (Rizzoli 2013). Faloppa ha posto al centro del suo libro alcune parole guida che hanno assunto in certi momenti storici forti connotazioni negative (ebreo, arabo, negro), ma ne ha considerate molte altre e ha dedicato un capitolo del suo libro a Linguaggio e intolleranza.
Trasatti ne ha trattate ancora altre, da clandestino a femminicidio, offrendo alcune regole per una “comunicazione che non discrimina”. Annamaria Testa si è molto occupata dello stereotipo, non solo verbale ma anche visivo: «Spesso le cose che presumiamo di sapere già e quelle che ci aspettiamo di vedere quando osserviamo un immagine o un evento appannano la nostra percezione guidandoci verso un’interpretazione viziata da stereotipi». Lo sostiene anche Cecilia Robustelli che ha studiato a lungo il linguaggio di genere: «Sul piano lessicale raramente la discriminazione avviene per aggiunta di parole nuove, è più frequente che si manifesti per un atteggiamento di inerzia dei parlanti nei confronti della tradizione».

PERCHÉ diciamo infermiera e operaia, ma abbiamo difficoltà a dire ministra e architetta? Solo perché da poco le donne occupano queste posizioni e fanno questi lavori? Ma la nostra lingua conosce la distinzione di genere, non ci sono motivi strutturali per non farlo. Matilde Paoli, del servizio di consulenza dell’Accademia, parlerà di femminicidio e di stalking, parole che hanno suscitato molto interesse e molte discussioni tra i frequentatori/le frequentatrici del nostro sito.

Interessante l’intervento di Federigo Bambi proprio sulla parola discriminazione, che contrariamente alle nostre aspettative è un neologismo semantico. Non conosco ancora gli altri interventi, ma sono sicura che un poeta e traduttore come Franco Buffoni e una storica della lingua come Anna Vera Sullam, che ha studiato in modo encomiabile I nomi dello sterminio (Einaudi 2001) sapranno completare ottimamente la nostra Tavola rotonda.