Della vita altrui non tutto è giusto sapere

Il direttore della "Nazione" risponde ai lettori

Pier Francesco De Robertis

Pier Francesco De Robertis

Firenze, 30 marzo 2017 - Caro direttore, perché per completezza d’informazione non ci fa conoscere l’ammontare del suo stipendio e quello dei suoi collaboratori? Grazie Ennio Anzillotti

Caro Anzillotti, le rispondo volentieri anche se – forse la deluderò – non per rivelarle quanto guadagniamo io e i miei collaboratori, ma per distinguere tra privacy e trasparenza. La privacy è un diritto del singolo che giustamente vuole mantenere riservati aspetti della propria vita, la trasparenza è un diritto della collettività a conoscere dati sensibili allo svolgimento della cosa pubblica. Sapere è una cosa, pretendere di guardare dentro al buco della serratura un altro. Il reddito di un singolo, se svolge la sua attività in un’azienda privata (è il caso di un giornale) è uno di quelli che giustamente ognuno vuole tenere per sé, ed è affare tra lui e il proprio datore di lavoro; il discorso è diverso se il «padrone» è pubblico, cioè è tutti noi, e quindi la collettività ha diritto di conoscere come vengono spesi i propri soldi. Pretendere di sapere tutto di tutti, anche quando non esiste un diritto oggettivo, è una forma di violenza, e questo vale sia che si parli di soldi sia di altri dati sensibili (tendenze sessuali, religiose, salute o famiglia).