No vax in rianimazione ."Lo scoglio è la diffidenza"

"Sono l’80% dei ricoverati e un 10% di loro continua a rifiutare le cure". La testimonianza del professor Francesco Forfori, presidente toscano Siaarti

Firenze, 25 gennaio 2022 - «La scelta del paziente è sacra, qualunque essa sia. Ma quanto è difficile per noi medici accettare che chi può salvarsi rifiuti le cure". A parlare è il professor Francesco Forfori, presidente regionale della Siaarti (Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva) e direttore della relativa unità dell’Aou Pisana. Come dimostrano alcuni episodi di cronaca, il Covid ha reso più difficili i rapporti fra medici, pazienti e familiari, soprattutto nel caso di soggetti non vaccinati e diffidenti verso le terapie. Partiamo dai numeri, quanti fra i ricoverati Covid non sono vaccinati e quanti rifiutano le cure? "I non vaccinati sono più o meno l’80% dei ricoverati in terapia intensiva. All’inizio quasi tutti sono diffidenti, ma creando con loro un rapporto, informandoli, si convincono. Solo un 10% continua a rifiutare le cure, a volte anche quando la situazione diventa davvero difficile". Da cosa nasce la diffidenza? "Da una cultura sbagliata, basata su mezze verità, racconti scientificamente inesatti che girano sui social, interventi nei talk show di persone che non sono medici. Il consiglio è parlate con il medico di famiglia; ponetegli dubbi e perplessità. Torniamo a un rapporto di fiducia: i dottori sono qui per curare i pazienti e, nei casi più gravi, per provare a salvar loro la vita". Il rapporto con i familiari come si articola? "Va fatta una premessa: il Covid allontana i pazienti dai familiari in un isolamento che rende difficile a chi è fuori avere il polso della situazione. Soprattutto fra i non vaccinati la malattia procede per scatti improvvisi: chi stava bene la mattina può precipitare nel pomeriggio. Si diffonde così, in alcuni soggetti che negano il Covid, l’idea folle che il medico non sia lì per curare ma, al contrario, per sperimentare ai danni del paziente. Detto questo fra i parenti c’è chi ci aiuta e chi, invece, ci aggredisce, creando un clima di tensione".

Come gestite la situazione? "Rispetto ai familiari, quello che conta è la volontà del paziente. Più serio è invece il problema dei pazienti che rifiutano le cure. Solitamente oltretutto si tratta di persone che non hanno fatto le Dat, le Disposizioni anticipate di trattamento, per spiegare quali terapie intendano rifiutare. Quando le cose precipitano, un paziente inizia a non respirare e a non essere lucido è tutto molto difficile e il medico anestesista deve decidere in fretta. E poi consideri che qui ci troviamo di fronte a una situazione senza precedenti". Quale? "Le Dat sono nate per opporsi all’accanimento terapeutico in pazienti senza possibilità di guarigione. Qui abbiamo persone che potrebbero guarire, ma che non si fanno aiutare o che accettano solo in ritardo un aiuto perché non credono nella cura o addirittura nella malattia. Capisce che per noi è frustrante? Abbiamo le cure e non le vogliono. Ecco perché episodi come quello di Firenze, in cui un anestesista è stato accusato di aver rimproverato i familiari di una paziente non vaccinata, credo vadano visti in modo diverso. Non so se il collega possa aver esagerato nei toni, ma nelle sue parole leggo comunque una dimostrazione d’amore verso la paziente e verso la medicina".