Firenze, 9 giugno 2014 - CARO DIRETTORE, credo che i gesti simbolici abbiano un valore, a volte alto, ma non riescano se non in rari e fortunati casi a cambiare le sorti del mondo o di una sua parte. Così, pur apprezzando l’incontro promosso da Papa Francesco nei giardini vaticani (con la presenza di Abu Mazen e Peres) penso che la pace tra Israele e Palestina non arriverà, Troppo odio antico, troppi interessi (come la vendita di armi) sono in gioco: non basterà un preghiera, anche se è del Papa.
Paolo Gritti, via mail

 

RISPONDE IL DIRETTORE MARCELLO MANCINI 

L’IMPEGNO DI PACE che israeliani e palestinesi si prendono davanti al Papa (e al mondo), non varrà granché. Ma è un passo senza il quale, il cammino sarebbe molto più difficile. E’ chiaro che l’incontro è carico di gesti simbolici benché non contenga risoluzioni formali fra i due popoli, storicamente in guerra. Da aprile il governo israeliano ha sospeso i negoziati con Abu Mazen, presidente dell’Autorità palestinese (l’ala più moderata) perché lo accusa di aver fatto l’accordo con Hamas, nota per la sua posizioni intransigente nei confronti di Israele. Se il Papa, in questo momento di gelo diplomatico, è riuscito a rimettere insieme il presidente israeliano Peres e quello palestinese, con il pretesto di una preghiera interreligiosa, significa che le porte del dialogo restano aperte. E sappiamo bene quanto la pace in Medio Oriente viva di spiragli o di battiti di ciglia che possono far esplodere un incendio devastante. La pace non arriverà oggi, e neanche domani, si cammina sempre sul filo del rasoio, ma il buon senso di qualche vecchio leader, ha ancora la forza per tenere viva la speranza. Può essere un esempio per i giovani, almeno tenerli lontano dal fanatismo che è all’origine di tutte le tragiche Intifada.