Firenze, 22 aprile 2014 - “Penultima domenica a casa, sabato 19 aprile partirò per l' Indonesia, causa lavoro che in Italia non sono riuscito a trovare. Primo rientro previsto per i primi di agosto. Base Jakarta, poi chissà, intanto vado là e poi... la terra è rotonda!”. Un cocktail di parole agro-dolci, cristallizzate su Facebook, attraverso le quali Alberto Tozzi, 52 anni di Lastra a Signa, ex manager di una famosa azienda di abbigliamento, fa sapere ad amici e conoscenti che lascerà il Belpaese.   

Con il passare del tempo, anzi degli anni, Tozzi si è trovato davanti a un bivio: rimanere in Italia ad attendere un lavoro che probabilmente non arriverà mai, oppure fare i bagagli e partire? Alla fine la scelta è stata obbligata: andarsene. Abbandonare un Paese impaludato che non dà possibilità di riscatto, di ritrovare un lavoro se, a 50 anni suonati, l'hai perso. La storia di Alberto Tozzi inizia 3 anni fa quando viene liquidato dall'azienda (che all'epoca stava avviando le pratiche per un concordato preventivo) di cui è stato dirigente, operation manager come si dice in gergo, per 24 anni. Tozzi era responsabile di produzione, degli acquisti e della logistica. Insomma un brutto colpo trovarsi a casa dalla mattina alla sera dopo tanti anni di lavoro .

In questi tre anni cosa ha fatto?
“Ho cercato costantemente lavoro. Ma non sono riuscito a trovare niente di stabile tranne qualche consulenza  nelle aziende. Per un anno ho avuto un contratto a tempo determinato con la Nannini pelletterie”.

Come è arrivato a trovare un'occupazione in Indonesia?
“Ho stimolato costantemente il mio parco di conoscenze all'estero, che comunque mi ero creato avendo lavorato per tanti anni per un importante marchio di abbigliamento. Uno dei miei ruoli in azienda infatti era quello di interfacciarmi con i mercati esteri: Cina, Hong Kong e Vietnam in particolare. Per lungo tempo mi sono occupato di progettazione e realizzazione di un centro di controllo qualità in Cina. Poi, pochi mesi fa, la “B Group Hong Kong” mi ha contattato per propormi un lavoro in Indonesia”.

A Jakarta cosa farà?
“Controllerò una struttura in cui lavorano 40 persone. In sostanza farò supervisione e analisi critica del prodotto, ossia controlli di qualità delle materie prime sia durante la produzione che del prodotto finito. Praticamente torno a fare quello che facevo in Italia prima di essere liquidato, tranne gli ordini di produzione”.
 

E' contento di questa scelta?

“Sì, perché penso che possa aprirmi molte possibilità, dal momento che entrerò in contatto con molte aziende. E questo spero che prima o poi mi dia la possibilità di rientrare in Italia. D'altra parte stare tre anni fermo è stato davvero duro, troppo. C'è il rischio di impazzire, di cadere in un vortice depressivo da cui non si vede la fine. Certo mi mancherà la mia famiglia, ma fortunatamente grazie alla tecnologia saremo vicini ... tra Skype, Facebook, WhatsApp, i mezzi per sentirci in ogni momento non mancheranno”.

Cosa le mancherà maggiormente dell'Italia?
“Al di là della mia famiglia, sicuramente gli amici, il cibo e lo stile di vita. Ma mi dà davvero una grande carica la nuova esperienza professionale, è come rinascere una seconda volta”.

Con la lingua come se la cava?

“Lì si parla inglese... beh (sorride) se dovessi tenere una conferenza a Oxford mi tirerebbero dietro i pomodori, ma per il tipo di lavoro che andrò a svolgere la conoscenza della lingua che mi ritrovo è sufficiente. Si tratta di parlare con una gamma di termini commerciali che utilizzo ormai da anni.”

Che consigli darebbe a chi si potrebbe trovare, a 50 anni, nella sua condizione?
“Beh a 50 anni una persona dovrebbe avere acquisito un network di conoscenze. Ecco, su quel pacchetto lì bisogna lavorare, senza perdersi mai d'animo. E poi aprirsi il più possibile a mercati diversi: Austria, Germania, Inghilterra. E' un momento storico, lavorativamente parlando, in cui bisogna essere più flessibili che mai. Mandare il curriculum a ogni sito o motore di ricerca che offre lavoro è inutile. Io in tre anni ne avrò mandati 320 con il risultato di aver fatto 50 collloqui che non sono serviti a niente. Lo ripeto: bisogna lavorare sul parco di conoscenze che abbiamo. Prima o poi qualcosa verrà fuori”.

L'Italia è un Paese per 50enni?
“Per ora no. Non lo è neanche per i laureati, figuriamoci per chi ha perso il lavoro dopo gli anta. Ma non perdiamo la speranza. Vediamo con le nuove riforme del lavoro cosa salterà fuori”.

Serena Valecchi