Lucca, 20 aprile 2014 - UNA BARA bianca, personalizzata con diamanti Swarovski e rose rosse intagliate finemente. Omaggio horror dal tuo aguzzino. Non un macabro «augurio» ma piuttosto un presente. Un presente malato di chi da due anni ti ha rovinato la vita credendo di amarti follemente, spacciandosi come il tuo fidanzato e aprendo addirittura un’agenzia di pompe funebri internazionali che porta il tuo nome e accoglie la tua foto nella carta intestata. E la cosa, da perderci la testa, il sonno e perfino farti smettere di lavorare, è che lui — il fidanzato-aguzzino — tu non l’hai mai neppure visto una volta in faccia. Solo in foto. Tramite internet. Lo vedrai solo al processo. Quando ci sarà.
 

COLPA di una chat e di un momento in cui Beatrice (nome di fantasia, la Procura ha chiesto esplicitamente di rendere irriconoscibili i protagonisti di questa vicenda) si sentiva sola. Siamo alla fine del 2012. Non più giovanissima — con un «fallimento» sentimentale alle spalle — una sera accende internet e inizia a chattare con un tizio lontano del nord Italia. Modi gentili, tanta considerazione. Dalla chat si passa al numero di cellulare. Le chiamate sono quotidiane e sempre più frequenti. Lui è ricco, ha un bel lavoro è di buona famiglia. E’ perfetto. Così prima lo scambio di foto poi la richiesta pressante: «Beatrice — dice lui — incontriamoci!». Ma lei scopre che il suo Fabio ha già avuto un «flirt» sul web e declina l’invito. Quindi, durante le vacanze di Natale, stacca cellulare e computer e non si fa più trovare.Fabio perde la testa. Scende a Lucca e si presenta dai carabinieri: «Beatrice, la mia fidanzata, è sparita da giorni. Aiutatemi! Questo è il suo numero di cellulare».
 

QUEL nome non esiste, il numero però è reale. E grazie all’intestazione della Sim si scopre dove abita. I carabinieri allora bussano alla porta di lei: «Cerchiamo Beatrice», dicono. Nessuno la conosce. E’ un «nickname». Poi, si ricostruisce la storia: lei ha un altro nome ed è partita per le vacanze. Di Fabio non ne vuol più sapere. E invece, e qui sta l’errore e la debolezza, al ritorno dalle vacanze lei ci cade di nuovo. Le dà il nuovo numero di cellulare. Lui inizia a farle regali e addirittura a versare ingenti quantità di contanti sul suo conto corrente. Lei prova a staccarsi di nuovo ma ormai è tardi. Chiamate, mail, messaggi, regali: ogni ora, ogni giorno, ogni settimana. Per mesi. A febbraio Beatrice lo denuncia per stalking: si attiva il codice rosa. E’ la svolta perché — una volta raggiunto dalla querela — Fabio viene a sapere il nome reale della sua «amata». E’ pazzo di lei e non va più neppure a lavoro. Così viene licenziato dalla ricca ditta di famiglia e lui si mette in proprio aprendo un’azienda di pompe funebri che va a gonfie vele. Il nome è «Beatrice». Su ogni bara c’è la foto di lei. Orrore. La lucchese è traumatizzata. Distrutta. Non ha più una vita: vive nel terrore. Non esce di casa. Smette di lavorare.

E ogni secondo il cellulare suona e piovono regali. Il giudice impone il divieto di avvicinamento ma Fabio tenta di violarlo. Chiama in Comune e a nome di lei si fa consegnare lo stato di famiglia con l’indirizzo di casa. Poi, tramite Facebook, contatta la sorella di Beatrice e si fa accompagnare dalla sua amata. Quando la vittima capisce cosa sta accadendo chiama i carabinieri che riescono a bloccare l’uomo prima che arrivi sotto casa. Ma lui non demorde. Qualche tempo dopo Beatrice è colpita da un terribile lutto. Al funerale si presenta anche lui che piange sulla bara del congiunto disperato dicendo di essere il fidanzato di Beatrice. Lei a quel funerale non ci andrà mai. Lettere ancora lettere e messaggi nuovi messaggi. «Ti amo» e poi una scarica di offese. «Non posso vivere senza te», e ancora ingiurie e minacce. A volte lei, per paura, risponde. Fino all’ultimo — in ordine di tempo — drammatico regalo. Lui le confeziona una bara bianca, impreziosita da Swarovski con una dedica: «ti imbalsamo e ti tengo con me per sempre». E’ troppo. Fabio viene rinviato a giudizio dovrà rispondere di una serie imprecisata di reati. Intanto però le scrive ancora...