Pisa, 19 aprile 2014 - di FEDERICO CORTESI
«UN VERO e proprio pugno da ko. Un tremendo destro da pugile: ma non un boxeur qualsiasi, alla Tyson, sferrato con un’inaudita violenza e che sulla vittima ha avuto effetti devastanti. Raggiunto tra l’occhio e lo zigomo destri, il bengalese ha istantaneamente perso i sensi. E così, è subito crollato, come se fosse un sacco di patate, subendo un altro urto micidiale: contro il muro o contro il selciato».

Pur avendo una già lunga esperienza professionale, è umanamente colpito da quanto ha visto (prima il drammatico filmato e poi l’autopsia) il dottor Marco Di Paolo, il medico che ieri mattina all’istituto di Medicina Legale dell’Università ha eseguito l’esame autoptico dello sfortunato Zakir Hossain, disposto dal pubblico ministero Giovanni Porpora. L’autopsia ha evidenziato «la presenza di una gravissima frattura orbitale anteriore — hanno spiegato gli inquirenti — e un’altra occipitale conseguente alla caduta della vittima all’urto ha provocato una massiva emorragia encefalica». Certamente i risultati della a consulenza del medico legale saranno decisivi per formulare quello che poi sarà il capo d’imputazione al quale dovrà rispondere l’assassino dell’aiuto cuoco, il ventisettenne tunisino Hamrouni Hamza. La forbice va dall’attuale accusa di omicidio preterintenzionale a quella, ben più grave - ovviamente con diversi anni di differenza in caso di condanna - di omicidi volontario con la probabile aggravante dei futili motivi.
 

A FAR incastrare i quattro (tutti cascinesi e incensurati) componenti del ‘branco di balordi di periferia’ - secondo gli inquirenti facilmente influenzabile dalla forte personalità di Hamrouni Hamza, considerato il leader - è stato l’intenso lavoro investigativo della polizia, con il prima linea lo stesso questore Gianfranco

Bernabei, forte della esperienza di dirigente della Squadra Mobile di Firenze . Fondamentali per le indagini sono state le riprese delle numerose telecamere presenti nella zona dell’aggressione, così come le testimonianze dei presenti e le segnalazioni fornite alla Questura dopo la pubblicazione sulla stampa e sul web delle immagini del tragico fatto di sangue. Anche Facebook è stato utile: i quattro giovani aggiornavano spesso, infatti, i loro profili: le loro foto caricate sul social network sono state usate dalla polizia per l’identificazione. Simone Tabbita di 22 anni e uno studente sedicenne (sembra parente del maghrebino) sono stati denunciati per favoreggiamento, in quanto intervenuti ‘liberare’ dai testimoni il tunisino che lo avevano afferrato per trattenerlo. Il quarto del gruppo, un ventenne è ritenuto estraneo all’aggressione ed è stato rintracciato a Roma, ma per la polizia non sarebbe stata una fuga, bensì un viaggio per questioni sentimentali.
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