Pisa, 14 aprile 2014 - ERA finito sotto i ferri convinto di avere un carcinoma alla prostata, secondo quanto sostenevano i medici che si basavano sulle analisi cui si era sottoposto due mesi prima dell’intervento. Così — per sua fortuna, ma fino a un certo punto... — non era. Accusati di aver scambiato le provette di due uomini e quindi, di aver fatto erroneamente operare — appunto con l’asportazione della prostata — un paziente sbagliato, due medici e un’infermiera dell’Unità operativa 2 Urologia ospedaliera del policlinico di Cisanello sono stati citati direttamente a giudizio per lesioni colpose gravissime in cooperazione tra loro e saranno processati tra pochi giorni. Si tratta delle dottoressa C. L., livornese di nascita ma residente a Pisa e difesa dall’avvocato Patrizio Pugliese; della collega I D.S., pisana e difesa dall’avvocato Marialuisa Bresciani, e dell’infermiera C. C., pisana e difesa dall’avvocato Gabriele Marroni.

SECONDO quanto sostiene l’accusa — il pubblico ministero è il sostituto procuratore della Repubblica Aldo Mantovani, lo stesso che dirige l’inchiesta sulla scomparsa di Roberta Ragusa — le due dottoresse (C. L. medico strutturato, I. D. S. medico specializzando) e l’infermiera effettuando il 13 dicembre 2012 un prelievo istologico (biopsia prostatica) su un paziente residente a Livorno inserirono nelle provette etichettate con il nome di quest’uomo i campioni prelevati a un altro paziente (affetto da carcinoma prostatico) e viceversa. L’intervento chirurgico di asportazione della prostata sul paziente sbagliato — che non aveva invece bisogno di alcun intervento — venne eseguito il 23 febbraio 2011 al policlinico di Cisanello. Le tre imputate rischiano una condanna da tre mesi a due anni di reclusione.

E COSI’ un altro caso di presunta malasanità approda al Tribunale di Pisa, dove si gioca anche la battaglia dei risarcimenti. Sono molte, infatti, le differenze tra i processi penali (in diminuzione) e le cause civili (in aumento) per presunti errori medici. Le prime per metà si concludono a favore dei pazienti, le seconde solo nel 30% dei casi. Nel civile circa il 40% delle cause si risolve entro i due anni, dopo la perizia del consulente del Tribunale che stabilisce se sussiste una responsabilità medica. Quando la causa va avanti, occorrono in media sei anni. Troppi, per cui molti rinunciano al penale, che bloccherebbe il ricorso civile. Stessi tempi per i processi penali, dove però solo il 30% si conclude con una condanna dell’operatore sanitario.