Livorno, 13 novembre 2013 - GLI ULTIMI 11 mesi della nostra vita li abbiamo passati sulle montagne russe. Io, Guido e la piccola Sofia. Ospedali, tribunali, ospitate TV, manifestazioni e cortei in piazza, per affermare il diritto alle cure compassionevoli per la piccola malata grave che abita la nostra casa e da quattro anni riempie di miracoli la nostra vita. Contro le falle — legislative/ burocratiche — di un sistema che si è «dimenticato» di regolamentare il diritto alla dignità dei malati terminali. Un coro ad una voce unica quello che ha unito il grido nostro a quello di tanti altri bimbi che affrontano giornate di pericolo costante, tra una (semi) vita e una morte che li minaccia, nella certezza che oggi è peggio di ieri per chi è affetto da patologie neurodegenerative. 

 

LA MATTINA del 12 novembre, per la quinta volta in meno di un anno, la mia famiglia stava di fronte ad un collegio di giudici che dovrà decidere se Sofia potrà o meno continuare le cure compassionevoli a base di staminali mesenchimali con protocollo Stamina, che la fanno stare meno male, che la fanno stare meglio. Grazie a queste cure Sofia sembra aver invertito la naturale tendenza della sua patologia (leucodistrofia metacromatica) e della sua vita. Ce ne siamo accorti noi che la vediamo riposare serena 8-10 ore a notte. Se ne sono accorti i fisioterapisti e i medici che la seguono: l’ultima volta la pediatra di famiglia ha pensato ad alta voce «sembra un’altra bambina rispetto a qualche mese fa». Cioè rispetto a quando nostra figlia non aveva ancora ricevuto la prima delle cinque infusioni che le sono state somministrate agli Spedali Civili di Brescia.
E’ macabro pensare che proprio l’ospedale che le pratica una terapia capace di migliorare la sua breve vita si costituisca parte civile contro il suo stesso paziente: «Spedali Civili contro Sofia De Barros» (oppure contro Gioele Genova, Celeste Carrer, Desiré Larcher , ecc…). Spedali Civili di Brescia contro malati terminali, bambini mediamente di età inferiore ai 5 anni. Significa che un ospedale pubblico preferisce spendere il denaro dei contribuenti in ricorsi contro famiglie disperate. 

 

IN QUESTI GIORNI, noi come innumerevoli altre famiglie in tutta Italia, aspettiamo il verdetto del Tribunale di Livorno. Intorno a noi una folla d’incantevoli sconosciuti e amici affezionati prega, assiste Sofia e la sua famiglia con messaggi di solidarietà. Si dice che l’amore dia sempre buoni frutti, tant’è per noi che ne abbiamo ricevuto tanto in questi mesi di lotta. Ora ci sentiamo pronti a ricambiare. Il 25 ottobre è nata «Voa Voa! Onlus Amici di Sofia», un’associazione che intende assistere le famiglie stroncate da diagnosi infausta. Aspettando la decisione del tribunale di Livorno, Sofia si stringe ai suoi amici, che sono diventati tanti. Ed hanno braccia generose da offrire alle tante famiglie che con il dolore si confrontano ogni giorno.

Caterina Ceccuti