Firenze, 10 luglio 2013 - EGREGIO DIRETTORE, il Papa ha fatto bene a recarsi a Lampedusa, la ‘porta’ dove passano i migranti che vengono da Paesi dove regnano povertà, ingiustizia e tragedie. Una porta che spesso non viene neppure raggiunta: molti muoiono in mare prima ancora di toccarla. Quindi un Papa ‘povero’ doveva andare su quell’isola, e portare la sua parola di speranza a chi ci arriva e a chi, abitandoci, vede arrivare le orde dei derelitti. Ma non vorrei che il suo gesto venisse strumentalizzato da chi dice ‘porte aperte a tutti, sempre’.
Federico Brogi, via mail

 

RISPONDE IL DIRETTORE GABRIELE CANE'

CARO BROGI, sono completamente d’accordo con Lei e con la sua osservazione finale. Ma andiamo con ordine. Il Papa, questo Papa, è veramente un personaggio straordinario. Forse perché compie gesti «ordinari», mentre da un pontefice ci si aspettano gesti da protocollo. E in più questi gesti «ordinari» hanno sempre il connotato che lui stesso si è voluto dare assumendo il nome di Francesco: l’attenzione all’umanità più disgraziata. Per questo il viaggio a Lampedusa, approdo per tanti disperati in cerca di fortuna, o anche solo di sopravvivenza in fuga dai loro paesi disgraziati. Niente da eccepire. Guai se non si tendesse una mano a chi viene da noi per darsi un futuro. Il problema è che spesso i gesti, come le leggi, prendono un significato che va al di là di quello originale. Con il rischio, in questo caso, che l’appello all’accoglienza si trasformi per le masse che premono sulle coste del nord Africa in un tam tam verso un presunto Paese colabrodo. Non era certo questa l’intenzione del Papa, comunque. E non sarà questa, speriamo, la lettura di una visita che può e deve restare un evento straordinariamente ‘ordinario’.