di GIGI PAOLI

 

Firenze, 7 marzo 2013LA MADRE di tutte le inchieste finisce proprio come la madre di tutte le battaglie di irakena memoria. Con una disfatta. Alle cinque della sera, il collegio giudicante della seconda sezione penale del tribunale pianta un coltello nel cuore dell’accusa e fa crollare quasi del tutto il lavoro della procura della Repubblica di Firenze. Della maxi-inchiesta sulla trasformazione urbanistica di Castello, l’area di circa 168 ettari edificabili a nord di Firenze, resta infatti solo una condanna a un anno di reclusione per l’ex assessore Gianni Biagi, riconosciuto colpevole di abuso d’ufficio (reato a cui viene derubricata la corruzione) e di turbativa d’asta. Per Biagi, che partiva da una richiesta di condanna della procura di quattro anni e mezzo di carcere, è una condanna che sa comunque di mezza (anche tre quarti...) vittoria, tutto il resto è una raffica di assoluzioni con formula piena che pietrifica sulla sedia e fa sbiancare in volto il pubblico ministero Giuseppina Mione, ‘scortata’ per l’occasione dal procuratore capo Giuseppe Quattrocchi.

 

In quel metro di spazio che divide per perpendicolare i banchi dell’accusa da quelli della difesa c’è tutto un mondo che si capovolge. Da una parte il gelo della procura e delle parti civili respinte (tutte tranne la Provincia di Firenze che ottiene invece 15mila euro di risarcimento dal condannato Biagi), dall’altra i sorrisi delle difese. E le lacrime. Quelle alle quali si abbandona, prima di scappar via dall’aula bunker, la figlia di Graziano Cioni nel momento in cui si accorge che suo padre — per il quale la procura aveva chiesto una condanna a due anni e dieci mesi di carcere — è stato dichiarato innocente con formula piena.
 

 

IL PRESIDENTE del collegio giudicante Francesco Maradei e i giudici a latere Susanna Raimondo e Fabio Frangini sono stati sette ore in camera di consiglio per arrivare alla decisione che, appunto, assolve tutti tranne Biagi: nessuna corruzione, nessuna concussione, nessuna violenza privata, nessuna appropriazione indebita. «I fatti non sussistono». E quindi sono sorrisi e pacche sulle spalle per Fausto Rapisarda e Gualtiero Giombini, dirigenti di Fondiaria-Sai, gli unici imputati presenti ieri in aula assieme a Cioni. La gioia corre invece sul filo del telefono per chi non c’è e si affida alle parole degli avvocati. Salvatore Ligresti, l’anziano patron di Fondiaria-Sai, è innocente così come l’architetto Marco Casamonti e il ristoratore Aurelio Fontani, accusato di aver prelevato 15mila euro dalla sua società per pagare un sondaggio a Cioni. Nessuna responsabilità per illeciti amministrativi, infine, per le società Fondiaria-Sai, Europrogetti e Archea Associati.


ALLA FINE, dunque, a pagare resta solo Gianni Biagi come ex assessore all’urbanistica, riconosciuto colpevole di aver sì favorito gli architetti Casamonti e Savi (quest’ultimo deceduto) ma di non aver preso denaro per questo. Quindi non fu corruzione, bensì abuso d’ufficio. Per il pm Mione — come disse nella sua requisitoria — «il pubblico è venuto a patti col privato e viceversa, in un vicendevole scambio». «Il gruppo Ligresti — aveva accusato il pm — aveva ottenuto il rilascio dei permessi di costruire relativi agli interventi privati da eseguirsi nell’area di Castello». In cambio, «Biagi aveva ottenuto il conferimento a Vittorio Savi e Marco Casamonti», suoi progettisti di fiducia, «di plurimi incarichi commerciali per un importo di svariati milioni di euro, nonché la promessa di ulteriori incarichi professionali a terzi che dovevano essere indicati da Biagi anche tramite Casamonti». Biagi, secondo l’accusa, si sarebbe quindi «arrogato un potere che non gli competeva e che nessuna norma di legge o regolamento poteva conferire». L’ex assessore all’urbanistica della giunta Domenici — che ha ottenuto dal tribunale le attenuanti generiche, la sospensione della pena e la non menzione — è stato anche interdetto dai pubblici uffici per un anno. E così vengono anche tolti i sigilli dall’intera area di Castello, sequestrata dalla procura fin dal novembre del 2008 quando scattò l’inchiesta. Mai, Fondiaria-Sai che ne è proprietaria, ne aveva chiesto il dissequestro: lo ha disposto ieri il tribunale.
CINQUE anni di lavoro, due dei quali di processo, non sono dunque bastati alla procura per dimostrare la cosidetta ‘corruzione liquida’, la presunta tangentopoli fiorentina senza le tangenti. Niente valigette piene di soldi, ma scambio di favori e regalìe personali. Per il tribunale di Firenze, banalmente, tutto questo non è mai esistito. Al limite, lo dimostra il destino di Biagi, si è trattato di un abuso d’ufficio e non di corruzione. Perché, alla fine, hanno avuto ragione le difese degli imputati. «Questo è un processo per corruzione in cui manca l’accusa, pretendo di trovare qualche utilità», aveva detto l’avvocato Mario Taddeucci Sassolini, legale di Casamonti. E alla fine la madre di tutte le inchieste si risolve con la battuta tranchant dell’avvocato Pier Matteo Lucibello, legale di Biagi: «Un processo largamente inutile». Ma che vivrà in appello il secondo round.