Firenze, 1 novembre 2012 - Ha riascoltato la registrazione delle parole che schiaffeggiarono Firenze — definita città piccola e povera — e ha voluto chiarire che lui, quella frase, non l’ha mai pronunciata. Così ieri Sergio Marchionne ha voluto siglare la sua pace, definitiva, con i fiorentini. Anzi, ha detto che da parte sua non c’è mai stata guerra, perché non si sarebbe mai permesso di offendere la città, alla quale conferma il rispetto suo personale e della Fiat. Quelle parole il manager del Lingotto assicura di non averle mai dette e per ribadirlo ha comprato una pagina de La Nazione scrivendo una lettera aperta ai fiorentini. Aveva cercato di spiegarsi anche il 10 ottobre, d’impeto sull’onda della rivolta fiorentina che montava, poche ore dopo che le agenzie avevano battuto l’offesa a Firenze. Ma le sue precisazioni in corsa non erano bastate a sgonfiare i muscoli degli offesi.

Quel 10 ottobre, un mercoledì, Marchionne si trovava a Bruxelles per un incontro con la Commissione europea. Al momento del «fattaccio» era a pranzo — un pranzo privato volle chiarire subito — con un gruppo di studenti. La conversazione del manager con quei «ragazzi» arrivò all’orecchio di un giornalista free lance e venne successivamente rilanciata dalle agenzie. Un putiferio. Sbarcata a Firenze, l’offesa ebbe l’effetto di un ciclone. Si rivoltarono i fiorentini. Ma non solo loro. Alzarono la voce i politici, anche quelli nazionali come Bersani, Chiti, si rivoltò ovviamente il sindaco Renzi (“Renzi pensa di essere come Obama, ma è la brutta copia di Obama”, e per di più è solo il “sindaco di una città piccola e povera’’), il governatore toscano Rossi, storici come Cardini, consiglieri comunali, alzò la voce perfino l’arcivescovo Betori.

Facebook e twitter furono inondati di messaggi indignati, carichi di feroce ironia da parte dei fiorentini, irridenti con i modelli Fiat: «Noi abbiamo il David, la Fiat ha la Multipla... Siamo piccoli e poveri ma a noi la Duna non sarebbe mai venuta in mente». Alcuni concessionari parlarono addirittura del rischio di un effetto-boomerang sulle vendite del Lingotto a Firenze. I veleni arrivarono in fretta alle orecchie di Marchionne che cercò di chiarire: «Un giornalista free-lance, fingendo di essere un invitato all’evento, è entrato all’interno della sala mentre stavo parlando con alcuni studenti. I miei commenti su Firenze sono stati, a mia conoscenza, estratti fuori dal contesto. La città di Firenze e la sua economia erano prese da me come riferimento per paragonarle alla complessità, al peso e alla dimensione di un Paese come gli Stati Uniti. Ho usato queste considerazioni — aggiunse Marchionne — per confrontare le responsabilità e le capacità del presidente Obama con quelle di Matteo Renzi. La differenza mi sembra evidente. I miei presunti commenti non devono essere interpretati come un mio giudizio sul valore di Firenze, che è una città per arte, cultura e scienze apprezzata e rispettata a livello mondiale, una valutazione che condivido pienamente».

Quindi precisò ancora: «Sto cercando di ottenere la registrazione dei commenti che mi sono stati attribuiti e poi impropriamente raccolti e sulla base del suo contenuto deciderò se rinnovare e ampliare le mie scuse alla città di Firenze e ai suoi cittadini».
 

E ieri, dopo aver riascoltato la registrazione, ecco la lettera aperta ai fiorentini con cui Marchionne ribadisce che «non ho mai espresso alcun giudizio su Firenze o sulle sue condizioni economiche. Non io — puntualizza — ma qualcuno dei presenti, cercando di spiegare l’argomento della conversazione agli stranieri, ha usato l’espressione ‘pretty, old town’». E su Renzi: «Non ho mai definito il sindaco di Firenze come la brutta copia di qualcuno». La lettera è accompagnata dal marchio in testa della Fiat e firmata dallo stesso Marchionne, il quale conclude con una carezza alla città e ai fiorentini: «Spero in tutta sincerità che la questione possa considerarsi definitivamente chiusa e che il rispetto che la Fiat ed io personalmente abbiamo per Firenze, la sua storia e la sua importanza sia riconfermato al di là di ogni ragionevole dubbio».
Stefano Vetusti