Firenze, 7 agosto 2011 - QUEL CHE rimane del comunismo fiorentino vuol sapere quali sono state le angherie subite dai preti antifascisti e antinazisti alla fine della seconda guerra mondiale. Faccio due esempi: uno europeo e uno fiorentino. In Europa, dove i comunisti raggiunsero il potere dopo la caduta del nazifascismo, costruirono delle dittature che si occuparono subito di liquidare preti cattolici ed ortodossi dalla vita delle nazioni da essi conquistate.

 

Questi sacerdoti furono quasi tutti incarcerati, molti fucilati e, comunque, perseguitati fino a tutti gli anni Settanta del secolo scorso. Il caso più eclatante si ebbe nella cattolicissima Polonia dove il cardinale primate Stefan Wyszynski dopo aver combattuto come cappellano militare con i partigiani polacchi contro i nazisti, subito dopo gli eventi bellici fu messo in carcere dai comunisti filosovietici.

 

Eccoci ora a Firenze: due casi esemplari che confermano le parole del cardinale Silvano Piovanelli sulle vessazioni subite da sacerdoti cattolici da parte comunista. Padre Reginaldo Santilli, domenicano del convento di Santa Maria Novella, avversario del nazifascismo, autore di un importante libro contro le discriminazioni razziali e la presunta superiorità della razza ariana. Organizzatore della Democrazia Cristiana clandestina che, negli anni della guerra, aveva in Firenze come leader uomini come Attilio Piccioni, Vittore Branca, Adone Zoli, Renato Cappugi, Renato Branzi e Giorgio La Pira. Tutti braccati dalla banda Carità come monsignor Leto Casini che fu arrestato e torturato a Villa Triste. Erano tutti antifascisti da sempre e non convertiti dell’ultim’ora. Ebbene, padre Santilli fu minacciato di essere fucilato davanti al convento di Santa Maria Novella perché i partigiani comunisti, che fucilavano i franchi tiratori, non volevano che padre Santilli portasse loro un minimo di conforto religioso come si usa per i condannati a morte. Nella biografia della positio per la causa di beatificazione del cardinale Dalla Costa si legge che padre Santilli fu minacciato due volte, dai partigiani comunisti, col mitra spianato contro di lui. Un altro fatto accadde in piazza Pitti. Mons. Bruno Panerai, uno dei capi della Resistenza nell’Oltrarno fiorentino, assisté ad una esecuzione capitale di un presunto fascista colpito alle spalle da un gappista comunista che mons. Panerai riconobbe. Avvicinatosi all’uomo ferito a morte, come deve fare un sacerdote, si sentì puntare una pistola alla testa. Il gappista gli disse: o vai via o ammazzo anche te come un cane. Mons. Panerai rimase inginocchiato accanto alla vittima. Seguirono attimi di terrore. Alcune persone si affacciarono alle finestre e il gappista rinunciò a sparare a mons. Panerai. E risalito in biciletta se ne andò via velocemente. Questa storia fu raccontata da mons. Panerai a Ugo Cappelletti giornalista di questo giornale che faceva una ricerca storica su quegli avvenimenti.

 

Erano presenti mons. Andrea Drigani, allora seminarista, Antonio Lovascio e il sottoscritto. Monsignor Panerai, continuamente minacciato dai comunisti del quartiere di Santo Spirito e San Frediano, che mal tolleravano il suo impegno antifascista, fu scortato da un gruppo di giovani armati dell’Azione cattolica della parrocchia di San Felice in Piazza. Questi giovani erano guidati da Giorgio Barlazzi e Sergio Sammicheli. Poi c’è una storia comprovata da mille testimonianze che riguarda la campagna elettorale del 1948: in tutti i comuni della provincia di Firenze e in buona parte di quelli della Toscana gli ex partigiani comunisti e i capi delle sezioni locali del Pci intimidivano con promesse di impiccagione tutti i parroci e i segretari di sezione della Democrazia Cristiana che facevano la campagna elettorale contro il Fronte Popolare socialcomunista. In modo particolare i parroci e i capi locali della Democrazia Cristiana venivano minacciati, se avesse vinto il Fronte Popolare, di essere impiccati agli alberi dei loro paesi e villaggi. Anche il cardinale Silvano Piovanelli si ricorda di queste minacce (allora era un giovane prete, nella sua Ronta, nel comune di Borgo San Lorenzo).

 

Questo significa che nella Resistenza al nazifascismo a Firenze, in Italia e in Europa, ci furono comportamenti diversi, più o meno in buona fede, ma che non si possono negare. I cattolici si sono sempre battuti nella Resistenza e nell’immediato dopoguerra per la libertà per tutti e per la salvaguardia della dignità della persona umana. Polemiche sterili che cercano di cambiare la storia non servono a nessuno.