Firenze, 3 agosto 2011 - «E LEI VUOL SAPERE cosa penso della fine della “toscanità”? Da me, che sono un ghibellino e non un guelfo come voi toscani...».
Veramente la storia toscana è fatta anche di ghibellini...
«Divisioni fittizie. Comunque, se ne vuol parlare, partiamo dai limiti».
Prego: lei, Oliviero Toscani, ne vede molti di limiti nei toscani?
«Intanto penso che il campanilismo sia un limite vero di tutti gli italiani. Quello toscano è solo più divertente, ma è un limite lo stesso».
Faccia un esempio.
«Ultimamente a New York ero a una cena, diciamo di gente colta, e c’era il solito senese che s’è messo a parlare del Palio senza fermarsi più»
Il Palio per un senese è roba seria...
«Ma non per gli americani. Tutti i commensali lo guardavano sbalorditi, perché il Palio fuori da Siena è una gran bischerata. Ma lui, contradaiolo della Chiocciola, insisteva, senza rendersi conto che tutti lo consideravano scemo. Non è un limite questo?».
Ergo: guardandoci da fuori la toscanità non ispira serietà...
«Al contrario. Io ho vissuto molto nel Veneto, la gente lì apparentemente è seria e calma, ma io non mi fido. Qui, invece, ti bastonano, ti insultano, bestemmiano, ma alla fine dei toscani io mi fido».
Una quasi dichiarazione d’amore...
«A me la Toscana piace da matti non a caso l’ho scelta per viverci. I toscani sono forse cialtroni, ma è gente primaria, che ti prende di petto, fondamentalmente onesta e refrattaria alla globalizzazione perché provinciale».
Lo dice come difetto?
«No. Voi siete l’unica regione conosciuta al mondo per la bellezza del suo territorio. Quando uno apre le finestre si trova davanti il più bel panorama del mondo. E’ questo è dovuto al vostro provincialismo».
Si spieghi meglio, così pare sempre un’offesa.

«Guardate come trattate i turisti. Sembra sempre che vi diano fastidio, che siano dei rompicoglioni. Se non sei della “contrada”, difficilmente ricevi ospitalità. Di più. Molti attentati alla toscanità li avete evitati per ottusità. Ho un ricordo nitido al proposito».
Sentiamo.
«Quando arrivai in Toscana nel 1970 fui invitato a Cecina per discutere sulla realizzazione di un porto e di un campo da golf. Tutti incavolati perché quella era roba per gente ricca: “Ma chi ve li porta i soldi? Il proletariato?”, dicevo io. Sa com’è finita?»
No, com’è finita?
«Che 40 anni dopo il porto non è ancora fatto. E nemmeno il campo da golf. Non per scelta ma per immobilismo becero. Straordinario».
E così ci saremmo salvati per ottusità dall’indistinto della globalizzazione?
«In confronto ad altri posti la Toscana è cambiata molto poco. Penso invece ai danni che ha fatto la globalizzazione in Lombardia e in Veneto».
E chi è il personaggio che fotograferebbe come manifesto della toscanità?
«Ce ne sono molti ma Benigni ha qualcosa in più, con quella sua volgarità che non è mai volgare. Lui dice cose che in altri dialetti non potrebbero mai essere dette».

Però, per poterle dire, se ne è andato dalla Toscana...
«E chi non se n’è andato? Forse Zeffirelli è rimasto? O Malaparte? Il guaio in questo caso è un altro».
Quale?
«Che la Toscana la amano di più quelli venuti da fuori. I tedeschi, gli svizzeri, gli inglesi: loro hanno sì un rispetto sacro del territorio e lo custodiscono per scelta e non per ottusità».
I toscani venuti da fuori come lei...
«Io ci morirò in Toscana, questo è sicuro»
E ci lavorerà ancora?
«Questo sarà più difficile. Purtroppo l’amministrazione regionale ha dimostrato troppo formalismo, troppa burocrazia, peggio del regime di Castro a Cuba. Ma questa è un’altra storia, non avviliamoci così oggi...».