ALCUNI anni fa essere trattati come cani era sinonimo di vita poco invidiabile. Oggi non c’è niente di più falso. Molti anziani soli si ritrovano ad elemosinare la compagnia dei parenti, una parola buona, un po’ di calore umano, spesso devono attivare le strutture pubbliche per una visita medica perché la famiglia non ha tempo. Al contrario, quasi tutti i cani hanno padroni affettuosi che non lesinano cure, carezze, nomignoli affettuosi.
Giuseppe Carli, Cascina

 

Risponde il caporedattore centrale de La Nazione Luciano Salvatore

NON DEVE esserci rammarico se nel nostro Paese è migliorato il rispetto per gli animali, tanto che l’espressione ‘fare una vita da cani’ assume ormai — spesso ma non sempre — un significato opposto a quello originale. Non è così ovunque, però. In Thailandia, dove si vota domani, la campagna politica delle Camicie gialle contro il sistema elettorale corrotto e il malaffare del governo è stata portata avanti con manifesti che mostrano animali vestiti con giacca e cravatta. Il messaggio è: meglio non votare, in Parlamento andrebbero politici-bestie con la gamma completa di difetti certificata dalla cultura locale. No quindi al candidato bufalo (lento e stupido), tigre (pigra e opportunista), varano (cattivo), coccodrillo (fonte di guai), scimmia (falsa e traditrice) e cane (rumoroso e aggressivo). La causa sarà buona ma attribuire agli animali i difetti degli uomini è quanto meno disonesto.
E’ intollerabile però che in un Paese con meno pregiudizi come il nostro tanti anziani, abbandonati da famiglie in altre faccende affaccendate, siano così soli da arrivare quasi a invidiare gli animali che oggi fanno una bellissima vita da cani. Ma la colpa, anche qui, è tutta quanta dei bipedi decaudati.