Firenze, 15 giugno 2011 - HA ASCOLTATO gli appelli del presidente della Repubblica, certo. Ma Ugo Orentoti, classe 1910, è andato a votare al referendum soprattutto «perché chiamato dalla coscienza». La coscienza di un uomo per bene, giunto al ragguardevole traguardo dei 101 anni compiuti «giocando a bocce, guardando poca televisione e facendo molte camminate a piedi».


Quelle che fa ancora oggi, ogni mattina: risalendo la Faentina, arrampicandosi fino a San Domenico per poi scendere giù, alle Cure, e inerpicandosi fino a casa, a Salviati, dove a pranzo l’aspettano la moglie Marietta Calamai (90 anni) e una delle due figlie, Cristina. L’altra, Elisabetta, abita in piazza Puccini e gli ha regalato due gemelli, prossimi ingegneri.


Per uno che macina chilometri scarpinando da quando era ragazzo, arrivare al seggio della scuola Boccaccio, distante qualche decina di metri, è stata davvero una passeggiata. Alle sette e mezzo, Ugo, aveva già affidato all’urna il segreto del suo pensiero a proposito dei quattro quesiti del referendum. Avrebbe fatto lo stesso anche se in ballo non ci fosse stata l’acqua, il nucleare o il legittimo impedimento. «Lui è sempre andato a votare», assicura la figlia Cristina. Eppure, di tornate elettorali e consultazioni, l’elettore più longevo di questo referendum, ne ha viste tante. Forse troppe. Nel 1939 il regime lo arruolò, destinazione l’Albania. L’anno dopo, «il quindici novembre 1940», puntualizza, fu ferito ad una gamba da un proiettile, nel conflitto con la Grecia e, dopo un lungo ricovero, fu rispedito a casa.

 

Ricorda ancora quel viaggio Bari-Careggi, e la lunga degenza per ristabilirsi. Del resto, un proiettile gli aveva trapassato il femore. Per quella ferita, che «a volte mi fa ancora male», non gli è mai stata riconosciuta una pensione d’invalidità. In compenso, al militare Orentoti l’esercito trovò un’occupazione. Prima alle Tre Pietre, poi in piazza San Marco, dove entrò come operaio ed è andato in pensione come impiegato, civile tra i graduati. Ma anche il lavoro è un ricordo di trent’anni fa, ormai. Come la passione per le corse, cominciata con l’epopea di Coppi e Bartali e non ancora del tutto sopita. «Ma anche il ciclismo non è più quello di prima, come tutto il resto», dicono all’unisono Ugo e la moglie, sposati da 63 anni. Così come anche la via Faentina, dove abitano, non è più la stessa. Le botteghe sparite, il traffico, perfino gli autobus.

 

«Prima s’andava anche in centro», confessa Marietta, «ora da qui passa soltanto l’1». E allora Ugo cammina, cammina, perché di guidare la macchina non ne ha mai voluto sapere. Una giornata scandita dalla sveglia, immancabilmente alle sei e mezzo, una prima e una seconda colazione, il pranzo e la cena, «anche se la sera mangio poco, un brodino, una fetta di pane arrostito, due carciofi». Ora che il bocciodromo dell’Affrico è diventato troppo lontano, a Ugo restano la briscola e il ramino. E i fiori, rigogliosamente in fila sul terrazzo che strizza l’occhio a Fiesole.