Firenze, 3 maggio 2011 - SONO DURATI vent’anni gli abusi sessuali di don Lelio Cantini sulle bambine e le ragazze che frequentavano la chiesa della Regina della Pace. «Le violenze ci sono state — scrive il pm Paolo Canessa —, le vittime sono state numerose e incapaci, per condizioni ambientali, di palese inferiorità psicologica e di età, di reagire alla subdola invadenza delle condotte del loro parroco». E’ stato un mostro, don Lelio Cantini, autore di abusi sessuali gravi dal 1975 al 1993. «E coloro che avevano il dovere di vigilare sul suo comportamento — aggiunge Canessa — hanno apparentemente finto di non vedere, minimizzando la portata e la gravità degli episodi».

 

E’ anche per questo — per «la lunga inerzia» e «per le condotte apparentemente omissive dei responsabili delle autorità religiose» — che don Cantini non potrà pagare il male che ha fatto. Il pm Canessa, dato che le violenze dimostrabili più prossime sono del 1993, è stato costretto a chiedere l’archiviazione del procedimento per prescrizione e ora il giudice per le indagini preliminari Paola Belsito è stata a sua volta costretta a concederla.

 


Ma le otto pagine di richiesta di archiviazione di Canessa e le tre di decreto del gip Belsito sono di una durezza clamorosa e rappresentano un profondo atto d’accusa contro le autorità ecclesiastiche, accusate senza mezzi termini di «inerzia e assordante silenzio» cui si sono aggiunte — scrive il giudice — «le più o meno velate minacce, anche in tempi recenti, da parte di alcuni alti prelati, fra i quali viene segnalato il vescovo ausiliario Claudio Maniago, anch’egli allievo di don Cantini». E proprio la figura di Maniago emerge in modo tutt’altro che impeccabile dalle carte del procedimento. Si legge infatti che «ha trovato un principio di riscontro» l’episodio riferito al pm nell’aprile 2007 da un uomo che disse di essere stato vittima, nel 1996, «di abusi sessuali da parte di alcuni sacerdoti» in «una parrocchia livornese, tra cui diceva di aver riconosciuto il vescovo ausiliare Claudio Maniago». Il «principio di riscontro», aggiunge Canessa, era stata «l’acquisizione da parte del Ros dei carabinieri di documentazione bancaria» dalla quale emergeva che l’uomo «ricevette un bonifico di 4 milioni di lire, proveniente da un conto intestato ‘parrocchia per contributo’ e ricevuto, a suo dire, al fine di facilitare una sorta di ‘tacitazione’ per gli abusi subiti». Anche quest’episodio, che aveva portato all’apertura di un’inchiesta a carico di ignoti, è finito con un’archiviazione. Perché nessuna querela — né dell’uomo né di Maniago per un’eventuale calunnia — fu mai presentata.

 


Ma è tutta la Chiesa fiorentina a uscire con un’immagine devastata da queste carte. E’ agli atti che alcune vittime si rivolsero al cardinale Piovanelli, per chiedere aiuto, già nel 1975, poi nel 1992 e nel 1995. Inutilmente. Nel 2005 le vittime finirono a parlare con Maniago, il quale, per tutta risposta, li invitò «a lasciar perdere aggiungendo che il tutto si poteva ritorcere contro le vittime con conseguenze negative in quanto svolgono attività professionali legate alla Diocesi». Durissima è il gip Belsito: «Le testimonianze di sopraffazione, di violenze fisiche e morali, di umiliazioni raccolte raccontano di un clima terribile, pesante, tetro, autoritario e blasfemo, un clima che si era venuto a creare ed era perdurato per tantissimi anni nella parrocchia della Regina della Pace» in cui «Cantini riuscì a fare credere di essere il Signore». «Anni — aggiunge — in cui il sacerdote, utilizzando quell’incredibile arma di avvicinamento che è il più bel canto d’amore della tradizione ebraico-cristiana, il ‘Cantico dei cantici’, al cui centro vi è per l’appunto l’amore fra Dio e le Sue creature, carpiva la buona fede e l’innocenza dei giovani fedeli, proponendo alle donne, per lo più ragazze e bambine preventivamente convinte di essere le ‘elette’, rapporti sessuali che dovevano aiutarle nel loro processo di crescita e purificazione, e ai giovani un futuro quali sacerdoti e uomini di fede».

 


La conclusione è sì un atto d’accusa contro Cantini e la Chiesa ma anche un segno di speranza: quelle testimonianze, per il gip, «mostrano quale lungo percorso di sofferenza, di dolore, di difficoltà abbia assegnato a tante giovani vite l’incontro con don Cantini, e che pur tuttavia costituiscono la dimostrazione di come queste persone, anche attraverso la catarsi del racconto, sono riuscite a trovareuna loro qual via di ‘guarigione’, un percorso di liberazione di purificazione indipendente e autonomo rispetto a quello che avevano inutilmente richiesto alle autorità competenti». L’incubo è finito, ma giustizia non è stata fatta.