Perugia, 7 aprile 2011 - Ogni cosa, nella chiesa parrocchiale di Ponte San Giovanni, pareva fuori posto. Un ragazzo di quindici anni chiuso dentro una bara, troppi adolescenti col volto solcato dalle lacrime, dolore e lutto laddove dovrebbero esserci gioia e sorrisi, la morte che prende il sopravvento su una vita durata troppo poco.

 

Nel giorno del funerale di George Tudor, il ragazzo annegato venerdì nel Tevere, sembrano fuori luogo persino i raggi del sole che riscaldano l’aria. Perchè l’atmosfera è gelida, soprattutto nel cuore di chi ha voluto bene a Giorgio, come gli amici avevano ribattezzato il loro compagno di giochi italianizzando il suo nome.

 

Vicino al feretro ci sono la mamma con il compagno, il padre e tutti i parenti di George, arrivati dalla Romania; sopra alla bara, in legno d’olmo, vengono adagiati un cuscino e un mazzo di fiori bianchi. Il bianco è il colore che meglio descrive la cerimonia; bianchi sono i fiori, bianchi sono i paramenti che indossano sia padre Radu Ionut, parroco della chiesa ortodossa romena di Perugia, che don Luca De Lunghi, vice parroco di Ponte San Giovanni. Il rito funebre è celebrato con liturgia ortodossa, la fede della famiglia Tudor, ma nonostante gran parte della funzione sia officiata in lingua romena la partecipazione è sentita e diffusa.

 

Il primo ad emozionarsi è lo stesso don Luca, che prima di iniziare la cerimonia si infila in tasca un pacchetto di fazzoletti e più di una volta, durante il rito, ne tira fuori uno per asciugarsi gli occhi. Giorgio è stato suo allievo a scuola; l’uno insegnante di religione, l’altro studente tra i banchi dell’istituto comprensivo "Volumnio".

 

Ora tocca a don Luca l’ingrato compito di dare inizio al funerale dell’adolescente: "Beh, direi che è ora", dice don De Lunghi, sospirando, a padre Radu. Quando l’imponente figura del parroco ortodosso varca la soglia della sacrestia intonando con voce baritonale l’Allelujah all’interno della chiesa di Ponte San Giovanni cala il silenzio. Zitti i tanti amici di George, compagni di scuola o di squadra nelle giovanili del Pretola, pietrificati dal dolore i parenti del ragazzo.

 

Colpiscono le differenze tra il rito ortodosso e quello cattolico: padre Radu Ionut celebra messa fronte al crocifisso, dando le spalle ai fedeli, e ai piedi dell’altare vengono posti due offerte rituali: un ciambellone di pane a treccia e un dolce fatto con grano, miele, polvere di cocco e canditi. In prima fila, davanti ad uno striscione verde con scritto in grande «Ti vogliamo bene, sarai per sempre nei nostri cuori», siede il dirigente dell’istituto "Volumnio", la professoressa Anna Maria Piccionne.

 

Sul viso dei ragazzi si legge sempre più commozione. Ad un certo punto la tensione, mista forse alla stanchezza per il lungo viaggio dalla Romania, gioca un brutto scherzo ad una zia di George, che si sente male e viene portata fuori dalla chiesa dove è soccorsa da un’ambulanza. La funzione è straziante.

 

Fino al momento più toccante, quando i compagni di scuola di Giorgio si alternano sul leggio e dedicano i loro pensieri all’amico scomparso: "Ti abbiamo amato e odiato — dicono — ma ci mancheranno i tuoi sorrisi e le tue battute. Grazie ai ricordi vivrai sempre dentro di noi".

 

Il feretro di George Tudor lascia la chiesa tra i lamenti dei parenti. È l’ultimo viaggio dell’adolescente annegato nel fiume, che riposa nel cimitero di Ponte San Giovanni. Mentre la chiesa si svuota, pochi ragazzi rimangono all’interno. Tra di loro il più scosso, contorniato dall’affetto dei coetanei, è il giovane indagato per omissione di soccorso; è stato con Giorgio nei drammatici attimi dell’incidente, ha voluto essere presente al momento di dargli l’ultimo saluto.