"Papà aiuto, mi hanno tirato l’acido". In aula il racconto dell’agguato choc

Barbini: "Mio figlio Pietro è distrutto in faccia e nel morale"

 ALEXANDER BOETTCHER (Newpresse)

ALEXANDER BOETTCHER (Newpresse)

MILANO, 24 NOVEMBRE 2015 - IL RACCONTO fluido e congruente di una sera tragica - un 28 dicembre di gavettoni all’acido - si incrina su una domanda: come sta Pietro? «Non è incertezza la mia, non è facile descrivere la situazione di mio figlio oggi. Potete immaginare, credo abbiate visto le fotografie. La vita è cambiata per lui e per noi». L’uomo, Gherardo Barbini, ora procede con fatica: «Il viso di mio figlio è devastato dall’acido, ma è devastato anche il morale». La moglie, qualche metro dietro, abbassa lo sguardo che si contrae nelle lacrime. Pochi istanti, silenziosa commozione, nel dipanare della storia che fu il 28 dicembre in via Giulio Carcano, centro sud Milano, quartiere di artisti e artigiani, raccontato da un teste oculare, il padre di Pietro Barbini, che della coppia Levato-Boettcher è l’ultima vittima in ordine di tempo. Cinquanta giorni al Niguarda, per Pietro, 23 anni: interventi a occhi, volto, mani. Una virata cruenta sulla vita promessa, tra Boston e Milano.   GHERARDO Barbini racconta. Le numerose telefonate ricevute da Pietro «tra il 24 al 28 dicembre» per il ritiro di un pacco regalo «dalla Francia». Le perplessità del ragazzo, l’appuntamento dato, dopo le insistenze di una sedicente ditta di spedizioni, al ritorno della famiglia dalla montagna. Via Giulio Carcano 14. Il padre l’accompagna. «Ho parcheggiato l’auto trenta metri più avanti, poi sono sceso e mi sono incamminato verso Pietro» che era già sul luogo dell’appuntamento. «Quando ero a dieci metri da lui, vedo un ragazzo e una ragazza con felpe e cappucci che si sono mossi per attraversare la strada. Il ragazzo fa un gesto di incitamento alla ragazza...». A cosa? «Ad attraversare, a tirare l’acido». Ma lui ancora non sa che è acido. «Lei aveva in mano due contenitori, fa due lanci in rapida successione...». Per un attimo pensa a uno scherzo, gavettoni. «“Papà, corri corri, non so cosa sia”, poi “papà papà scappa, è acido...”: io torno indietro per aprire l’auto, quando vedo che il ragazzo, l’imputato, sta inseguendo Pietro. Mi metto a correre, vedo Pietro che si infila tra due auto, poi si gira e lo placca...».  «Io gli tolgo il martello che quello aveva in mano. Gli chiedo: cosa volevi fare? Mi risponde: facevo jogging, ho visto il martello a terra e l’ho raccolto». Sono trascorsi venti minuti, prima che il ragazzo abbia cure. L’inseguimento di Boettcher con la mazzetta in mano rallenta i soccorsi. Ma cosa voleva fare con il martello? E’ un quesito irrisolto dentro l’aula dell’undicesima penale: Pietro certo aveva riconosciuto Martina, ex compagna di scuola ed ex flirt?  Il pm Marcello Musso, che imprime al processo il ritmo di una galoppata, dovrà valutare anche l’ipotesi del tentato omicidio, finora non contestato ad Alexander the King. Il re per cui Martina aveva subito una profonda trasformazione, raccontata dall’amica Elena L.. Da allegra e procace a irriconoscibile, la faccia scarnificata da una A, si presenta con Boettcher a una festa. «Lui le vietò di mangiare la torta e l’obbligò a baciare il gatto. E Martina aveva paura dei gatti...».