La siccità e la danza della pioggia

Il commento

Firenze, 23 giugno 2017 - Da piccini si giocava a cowboy contro indiani. Colt e frecce, Toro Seduto e Custer. I pellerossa ballavano danze di guerra o per supplicare Manitù acqua dal cielo. A noi bimbetti sfuggiva però il senso vero della danza della pioggia. Rimaneva un rito esotico e lontano. Di popoli simpatici ma, insomma, primitivi. Dall’altra parte del globo non ne avevamo bisogno, le mezze stagioni e il barometro seguivano con placida regolarità i ritmi dell’anticiclone delle Azzorre. Non dovevamo ancora sbattezzarci per battezzare gli incandescenti aliti soffiati dall’Africa. Caronte, Lucifero, Giuda. Genealogie infernali. Bollori satanici.

Ora che l’estate (anche quest’anno) è scoppiata bruciando con troppo anticipo, servirebbe ripensare con minor scetticismo ai riti antichi per invocare acquazzoni. Sì, per il turismo guadagno fa rima con solleone. Ma la canicola esagera. I meteorologi: abituiamoci al clima pazzo, non sprecate l’oro blu, chiudete i rubinetti quando lavate i denti. I politici annunciano progetti per raccogliere la poca pioggia: bacini sparsi sul territorio, saggia soluzione.

Però ci vogliono tempo e soldi, fattori che stridono con la bradipa rapidità dei pubblici poteri e la cruda indifferenza della siccità. Ribalteremo il lessico del meteo, santificando come «bel tempo» le precipitazioni e bollando come "maltempo" il perdurare di cieli tersi? Rammentando magari che a fine Ottocento in Sicilia, stremato da mesi di siccità, il popolino si vendicò della mancata grazia scaraventando la statua di San Giuseppe in un giardino riarso.