Le intolleranze che non ci sono

Il direttore de La Nazione risponde ai lettori

Pierfrancesco De Robertis

Pierfrancesco De Robertis

Firenze, 28 ottobre 2016 - Caro direttore, ormai quando si invita una persona a cena, o si riceve un invito, si chiede sempre di segnalare "eventuali intolleranze alimentari". E’ una necessità reale o si tratta di una delle solite esagerazioni? Io non sono una addetta ai lavori ma propendo per la seconda ipotesi.

Chiara Dinetti

Cara signora Dinetti, anche a me ultimamente è capitato di ricevere inviti del tipo che lei segnala e sinceramente mi sono messo a ridere. Una volta questo non accadeva, e non per fare sempre la parte di quello che loda i tempi antichi ma devo dire che almeno in questo era molto meglio prima. Si invitava a cena, magari ci si premurava di cucinare o far cucinare cibi abbastanza abbordabili per tutti o nel caso di presentare una certa scelta per gli ospiti più difficili, e tutto finiva lì. L’uso e l’abuso delle intolleranze alimentari è una moda americana, una nuova concessione al politicamente corretto anche in cucina per cui si deve sempre rispettare tutto e tutti al punto da inventare diversità e bisogni quando non ce ne sono. E forse per questo, a me che per istinto piacciono le cose «vere» o veraci, non va tanto a genio.