Falcone osannato da chi a suo tempo lo mise in croce

Il direttore de La Nazione risponde ai lettori

Pier Francesco De Robertis

Pier Francesco De Robertis

Firenze, 26 maggio 2017 - Caro direttore, in questi giorni tutti ricordano Giovanni Falcone, e come accade sempre per i morti le parole usate sono di entusiastica esaltazione del personaggio. Anche da chi, quando il giudice era in vita, lo criticava aspramente. Un po’ di coerenza!

Arduino De Gioia

Caro De Gioia, quando ci sono ricorrenze importanti la retorica vince sempre sull’analisi dei fatti, quindi non mi stupisco che a venticinque anni dal suo assassinio il giudice Giovanni Falcone venga celebrato con un’enfasi simile a quella che si usa per un santo che deve essere elevato alla gloria degli altari. Non la trovo però giusta, e in particolare mi appare ipocrita la posizione di quelli che adesso si sperticano nelle lodi incondizionate per Falcone mentre negli anni che ne precedettero la morte ne misero più volte in rilievo critico le posizioni, fino a farlo comparire come "imputato" di fronte al Csm.

Quelli che Sciascia definì i "professionisti dell’antimafia" e che criticavano aspramente l’impostazione dei processi data da Falcone, reo, secondo loro, di non aver mai voluto attaccare il presunto livello politico della mafia. Gente che dava valore di prova ai pettegolezzi o ai racconti di sedicenti pentiti. Falcone era invece un giudice serio che istruiva i processi solo dopo aver raccolto prove e indizi pesanti, e mai basandosi su teoremi. Cosa che a loro non andava bene. Uno come Falcone adesso ci manca.