Cornetti rossi e red carpet

Il commento

Firenze, 19 agosto 2017 - Tutto è cominciato da quell’impudìco ‘dito’ di Cattelan in piazza Affari a Milano. Correva l’anno 2010. Quella scultura fu messa in via provvisoria davanti al palazzo della Borsa. "Love", questo è il titolo della scultura, gesto di irriverenza e provocazione che è ancora al suo posto, nonostante roventi proteste (fra cui quella, autorevole, di Philippe Daverio). Quel ‘digitus impudicus’, quel gesto osceno, sulla cui interpretazione si è molto discettato, ma che alla fine, prima dell’avvento della carta igienica, è facilmente immaginabile a cosa servisse, oggi ha assunto un valore simbolico ancor più sintetico del gesto dell’ombrello, diffondendosi per tutto il pianeta. Allora se nella civilissima Milano si è permesso ciò, non deve meravigliare se a Napoli si progetta la realizzazione di un grande corno rosso alto sei metri.

Anche a Napoli si è accesa la querelle, si fa per dire, fra ‘conservatori’ (no- corno) e ‘innovatori’ (pro-corno). Si sente la mancanza di Benedetto Croce e di Roberto Pane, così la vertenza, da filosofica sul valore identitario del corno e la città, si porta verso toni più bassi: dato per scontato che il monumento al ‘curniciello’ napoletano si farà, resta da decidere sulla sua forma.

Corno ‘civetta’, corno ‘onda’, corno ‘a tre facce’, corno ritto ‘da scrivania’? L’importante è che il monumento contro la iettatura si stagli bene sul lungomare di Chiaia! Sarà anche un modo per ricordare il grande Totò nella parte del pazzariello nell’Oro di Napoli, che i corni ce li aveva persino nella divisa. C’è poi il ‘red carpet’, il tappeto rosso che ha acceso l’orgoglio di alcuni liguri: otto chilometri e mezzo di stoffa vermiglia che hanno battuto ogni record. Così, quel ‘percorso dell’amore’, simbolo di intimità e di riservatezza, carezzato da materiali lapidei cromaticamente appropriati, è diventato una pista per turisti, a collegare Rapallo e Portofino, come una passerella per vip, a imitare gli ingressi dei festival cinematografici ove si va toelettati all’ultimo grido. A questo punto sembra doveroso chiedersi se si tratti di un problema di conservazione dell’ambiente antico (e del paesaggio) e quindi di ‘compatibilità’ fra antico e nuovo, tra preesistenza ed innovazione o non sia piuttosto – e prima ancora – un problema di cultura civile, che appartiene cioè alla civiltà, che è – per dircela fuori d’ogni equivoco – quella forma particolare con cui si manifesta la vita sociale, materiale e spirituale di tutti i popoli.

Perché il dubbio di fondo è che cominci a trattarsi di un mutamento civile che non ha più confini locali o regionali, che si sia perso il “comune senso del pudore urbano”: un imperativo perduto con la massificazione turistica ma che continuiamo a pensare debba essere un attributo culturale di ogni buon amministratore.