Licenza di ritardo

Il commento

6 dicembre 2017 - Dietro il comma, nessuna pietà. Pensate davvero che interessi più di tanto la sorte di milioni di malati in attesa della nuova e promessa prestazione sanitaria al direttore generale, al consigliere di Stato, al magistrato della Corte dei Conti, che devono predisporre, vistare, registrare i decreti attuativi dei cosiddetti Lea? Ebbene, se qualcuno lo dovesse supporre, farà bene a ricredersi. Che volete che siano per questi signori, grand commis dagli stipendi da centinaia di migliaia di euro e dalla sanità privata pronta per l’uso, 15 mesi o due anni di ritardo nel varo di un regolamento per rendere reale l’esercizio di un diritto, la conquista di un sostegno vitale, l’avvio di una cura.

La storia dei provvedimenti che servono a trasformare una norma di legge in qualcosa di vivo e concreto per milioni di persone è in fondo una delle storie più torbide e assurde del nostro Paese. Vale per i Lea. Ma vale per la stragrande maggioranza delle leggi approvate dal Parlamento e dei previsti atti «a valle».

Come segnalava l’allora ministro Piero Giarda in un report del 2013, due dei 254 provvedimenti attuativi adottati nel 2012 risalivano a norme prodotte dal primo governo Prodi, addirittura 15 anni prima. A marzo scorso, secondo un’altra indagine, rimanevano nel limbo ben 71 decreti di dettaglio relativi a leggi-chiave dei governi Monti e Letta. Come è possibile? Semplice. Basta un aggettivo e il gioco è fatto: è sufficiente scrivere che i termini di adozione di un atto sono «ordinatori». E questo conferisce licenza di ritardo, di inattività, d’ignavia a ogni super burocrate italiano: in pratica può infischiarsene e lasciar passare tutto il tempo che vuole. Tanto non gli succede niente.

Per la verità, a mettere mano a questo osceno andazzo ha provato negli anni passati il governo Renzi (quando Matteo prometteva «una lotta violenta alla burocrazia»), con la previsione di qualche timida forma di sanzione per quei dirigenti che non facessero il loro dovere entro le scadenze stabilite. Una regola di buon senso. Ma, come è come non è, quella norma di elementare civiltà e di normale rispetto, è scomparsa dal testo che la conteneva. C’è da scommetterci: una manina ha provveduto a sbianchettare. Senza che nessuno, però, abbia avuto da ridire.