Golpe Borghese, Gladio rossa e una schiacciata calda

Il commento dell'editorialista della "Nazione"

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

Firenze, 24 maggio 2015 - Caro Mancini 45 anni fa il fallito colpo di stato di Junio Valerio Borghese, sul quale la verità non è mai stata raccontata. Non ho mai capito se fu una farsa o l’Italia davvero rischiò un’altra deriva autoritaria.

Riccardo Belli, Lucignano

Successe fra il 7 e 8 dicembre 1970 e fu una pagina nera (in tutti i sensi) che un processo con 68 imputati non riuscì a chiarire, mescolando mafia, ndrangheta, Cia e l’immancabile (per quei tempi) ombra di Andreotti. Anche perché la sentenza di secondo grado, nel 1984, cancellò l’accusa di cospirazione politica e assolse tutti, in pratica liquidando l’operazione come una specie di gioco di guerra fra sessantenni rincoglioniti. Di sicuro c’è chi, sul momento, la prese sul serio, cioè il sistema di difesa organizzato dal Pci, la cosiddetta Gladio rossa, composta da ex partigiani e militanti, che in Toscana aveva una rete diffusa. Uno dei protagonisti è l’ex parlamentare Graziano Cioni, che ricorda quando dalla federazione fiorentina del Pci arrivò l’ordine che fece partire il piano: dormire fuori casa e riunirsi in posti stabiliti. In fretta e furia, alle 2 del mattino, un gruppo andò a svegliare alcuni compagni.

Come il senatore Remo Scappini – fu il partigiano che ricevette la resa del generale Meinhold, comandante delle Forze armate germaniche nel nord Italia – che scese in garage a prendere la sua Fiat 124, rincorso dalle premure della moglie: «Remo, la sciarpa». E lui, sfidando il freddo della notte prima dei militari golpisti: «Lascia perdere». Il luogo convenuto era una vetreria, vicino a Empoli. Furono bloccati dal guardiano notturno, ignaro dell’insurrezione. Con calma, il nucleo paramilitare clandestino agli ordini dell’ex partigiano, accompagnò il guardiano in una stanza fra timori e sguardi interrogativi. Cioni confessa in un libro che l’uomo non capì mai con chi aveva a che fare, e rimase convinto che si trattasse di un gruppo di evasi dal vicino manicomio criminale di Montelupo. Oggi si può mescolare l’allarme vero con qualche aneddoto di paese, ma la storia è questa. Non toglie niente alle forti e talune tragiche emozioni di allora, raccontare che la notte del colpo di stato Borghese, la rivoluzione rossa in un enclave della campagna empolese, si concluse nella bottega del fornaio di Cortenuova, a mangiare la schiacciata calda.

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