Che notte questa notte. Notte magica, notte tenera, notte di limpidezza leopardiana. E non solo per chi ha vinto, Santo Spirito, una «nonna» di Giostra con uno scatto da ventenne, ma per una città intera che ha ritrovato nella sfida al Buratto la sua anima più vera, più autentica.


Conta la gara da questo punto di vista (ed è difficile vederne di più belle, mai forse se ne erano viste di tanto emozionanti) ma conta sopratutto il contorno. Bastava vedere l’abbraccio con il quale gli aretini hanno circondato il corteggio storico diretto verso la piazza della Giostra. Una folla sterminata, difficile persino da calcolare. Di sicuro decine di migliaia di persone assiepate lungo le strade. Più quelle in tribuna.


Non c’è evento, non c’è spettacolo, capace di fare da calamità con altrettanta potenza. Nemmeno il calcio nei suoi giorni migliori, quelli delle promozioni nelle serie che contano. Pareva davvero una città in amore, per dirla alla Bevilacqua, quest’Arezzo che nella sua manifestazione più autentica ritrovava un cuore nazionalpopolare, capace di gioire, capace di emozionarsi e di emozionare.


Eccolo qua il senso della Giostra. E dobbiamo gioirne: il Saracino non è puro evento folklorico, non è la ricostruzione in costume fredda e un po’ posticcia, come ne organizzano le pro-loco in ogni angolo d’Italia. No, questa è passione autentica, questa è una manifestazione che a livello nazionale è superata solo dal Palio, ma che ogni anno dalla corsa storica senese succhia un po’ di linfa, un po’ di autenticità.


A questo punto possiamo dirlo con orgoglio. Come la Giostra ci sono al massimo due, tre eventi in questa penisola che ribolle di storia, di costume, di contrade. Per questo la Giostra chiede il riconoscimento massimo, l’inserimento nella lista Unesco degli eventi patrimonio dell’umanità. Quest’anno non è stato possibile, sarà per la prossima occasione, ma c’è una città intera che lo merita