Arezzo, 25 agosto 2011 - Giaccherinho ce l'ha fatta. Non solo spicca il volo dalla provincia di Cesena (e da quella profonda di Talla, Casentino) verso la più amata d'Italia, per quanto un po' in ribasso dal punto di vista dei risultati, cioè la Juve, ma è anche il primo aretino in oltre un secolo di storia del nostro calcio a indossare la maglia bianconera. Oddio, a filosofare, ci sarebbe anche Alessandrelli, eterna riserva del mito Zoff, ma il bravo portiere (per quanto sfortunato nella sua unica presenza torinese, tre gol incassati con l'Avellino nel 1979) è di Senigallia e aretino lo è solo di adozione, dopo aver scelto questa città per viverci.

Giaccherini no, lui è un casentinese doc, anche se la sua carriera si è svolta tutta lontana da qui e ha giocato solo, da ragazzjno, con una squadra locale, la Bibbienese, affiliata del Cesena cui infatti il piccoletto di Talla (lo chiamano anche la Pulce, come Messi, ma è troppo onore per uno che vive di modestia) approdò ancora minorenne, nel 2002. La sua potrebbe essere davvero una di quelle favole che rendono ancora affascinante per il tifoso comune un mondo cinico come quello del pallone. Tipo Cenerentolo o il Brutto Anatroccolo che diventa principe. Ovvero come vado, ti rovescio il mondo e torno. Se preferite, come "sposare" una milionaria (ossia la Juve) e vivere felice. Anche se Emanuele il posto dovrà sudarselo partita dopo partita, allenamento dopo allenamento. Perchè certo non parte titolare, neppure in questa Juve in caccia di riscatto che sta cercando disperatamente, soprattutto all'estero, un esterno destro di prima fascia cui il tallese faccia da scudiero.

La storia di Gaccherini l'ha raccontata per primo un giornalista che sa di calcio e anche di scrittura come Gabriele Romagnoli, che agli albori della scorsa stagione regalò ad Emanuele l'etichetta di Giaccherinho. Nel senso che in Cesena-Mlan, seconda giornata, vittoria a sorpresa dei romagnoli con gol anche del tallese, si aspettava Ronaldinho, ancora rossonero, e invece il vero brasiliano si dimostrò quest'aletta sgusciante che pochi conoscevano.

Si favoleggia, dunque, che il bravo Emanuele, classe 1985, dopo una lunga peregrinazione per i campi minori della serie C (Forlì, Pavia e via dicendo) abbia risalito nel 2008 i tornanti che separano il Casentino da Cesena alla guida della sua vecchia Fiesta, con in testa un'idea fissa: "Stavolta o la va o la spacca, se non mi vogliono al Cesena me ne vado a fare l'operaio". In realtà, anche i dirigenti dei bianconeri romagnoli non erano tanto convinti di questo ragazzo con un fisico poco da calciatore, ma gli diedero comunque la chance di una sorte di contratto a gettone: più giochi più guadagni. E mai scelta fu più avveduta, perchè Giaccherini fu un protagonista prima della promozione del Cesena in serie B e poi del salto  verso il paradiso della A.

Tutti convinti? Macchè, Con quella faccia un po' così Emanuele stentava ancora a convincere tutti che lui era un giocatore da A. Tanto che in estate ci furono molte voci di mercato sulla sua cessione a una squadra di B, magari importante come il Toro. Ma se dubbi c'erano, tutti furono fugati dal debutto all'Olimpico contro la Roma, costretta al pari dai romagnoli: Emanuele non segnò, ma fu indubbiamente il migliore in campo per chiunque capisse di calcio. Poi la prova del nove col Milan di cui si diceva sopra: ancora man of the match e stavolta col sigillo di un gran gol in diagonale dal limite dell'area: il vero brasiliano, fra Ibra e Ronaldinho, Pato e Seedorf, era quello fatto in casa.

Alla fine, una grande stagione, con 33 presenze (su 38 partite) e 7 reti all'attivo, compresa quella che fruttò al Cesena la salvezza matematica. La partita più bella forse quella di San Siro contro l'Inter, in cui quasi da solo portò i suoi dallo 0-2 al 2-2 prima di essere ingiustamente espulso. La partita maledetta proprio quella con la Juve, al Dino Manuzzi, quando Giaccherinho non fece onore al suo soprannnome brasilero e si mangiò un incredibile gol a porta vuota, anche se poi i romagnoli il match lo pareggiarono lo stesso.

Già a inizio mercato, in maggio, si era parlato di un interessamento della Vecchia Signora, ma poi non se ne era fatto niente. La pista è tornata calda in questa torrida fine di agosto e stavolta Emanuele era ben deciso a non farsi sfuggire l'occasione, nonostante i tifosi lo avessero fischiato quando l'allenatore lo aveva tenuto in tribuna in coppa proprio in vista del trasferimento. "Se fischiano - aveva commentato Giaccherinho - è un loro diritto, ma io in una grande squadra ci voglio andare". Detto e fatto, nonostante le bizze di Martinez, un altro carneade che invece la sua chance l'ha sprecata in un'annata sciagurata. Ingaggio, scrivono i giornali specializzati, 700 mila euro a stagione. La vecchia Fiesta che risaliva i tornanti del Casentino asimante è ormai lontanissima.

I giocatori non dicono mai, o quasi, per chi tifano. Ma si sa per certo che in casa Giaccherini, a Talla, la passione è tutta per la Fiorentina, storica antipatizzante della Juve. Possibile, dunque, che il folletto debba giustificarsi anche in famiglia. L'ostacolo principale, però, non gli verrà da lì. Il difficile sarà trovare uno spazio, giustificare un affare che è l'occasione della vita ma può anche diventare la delusione della vita, specie in una Juve di cui non sono ancora ben chiari i contorni tattici e tecnici. C'è il rischio, insomma, di non riuscire ad acchiappare la cometa per la coda. Eppure Emanuele è un tenace, uno ben deciso a seguire la regola di Shakespeare, secondo il quale c'è una marea nelle vicende umane che presa quando monta mena al successo. Giaccherinho ci prova. Auguri.