Arezzo, 12 luglio 2012 - Si presenta con un semplice: "Sono felice di essere qui". E poi scatena l'applauso dello stadio con un "che ricordi su questo palco". Caparezza, la star della prima serata di Arezzo Wave che torna dopo sei anni, sa come accattivarsi il consenso del pubblico. Sono arrivati in seimila, per il festival ma soprattutto per lui che è il grande richiamo. Il cantante parte da "Sogno eretico", a seguire un concerto di circa un'ora. Prima code chilometriche ai botteghini di un'organizzazione ancora in rodaggio: molti preferiscono tornare a casa piuttosto che aspettare.

CapàA’ , daccui la scossa. Un gruppo di appassionati meridionali del cantante si muove in anticipo sui viali dello Stadio. I concerti di Caparezza non sono una rarità, i tour dell’artista disegnano una mappa da settimana enigmistica: se unisci i puntini scopri l’Italia. Ma chi ci va sa sempre cosa trova: la carica. La carica di una musica che è anche fisicità, ritmo, divertimento.

E che spesso e volentieri si coniuga con l’impegno sociale, essendo anche uno dei protagonisti fissi del Primo Maggio romano. E così stasera patron Valenti, figliol prodigo in terra aretina, punta tutto su di lui per riscoprire la carica del 2006, della quale ancora Capartezza era tra i protagonisti.

Lui, Michele Salvemini, in arte Caparezza, pugliese di Mofetta. Cantante fin da bamnbino, il babbo faceva l’operaio ma suonava in un gruppo, alle spalle tutto la vecchia scalata di chi nasceva con le note in testa ma senza le scorciatoie dei reality. No reality ma realtà: per chi ha sempre voluto gettarsi fuori dal tunnel (le-le-le) del divertimento e scoprire quello che ci sta intorno.

Registro lieve e registro impegnato, sempre sotto il segno dell’ironia e del ritmo. Balla e canta a ritmo di taranta e intanto si incrocia con le manifestazioni di Beppe Grillo. Intona chi se ne frega della musica (la u chusa come una i) ma te lo ritrovi anche nei film di Checco Zalone a interpretare se stesso tra i trulli della sua Puglia.

Un artista senza freni, che per la quarta volta sbarca nel pianeta wave. Due ore filate di musica, tutti i suoi successi e qualcosa di più. Il concerto dovrebbe iniziare intorno alle 23, nello Stadio ormai allestito: e preceduto dai Mala Vita,. un gruppo olandese, dala coppia spagnola dei Fuel Fandango e dal Teatro degli Orrori che proprio con Caparezza hanno via via collaborato.

Inseguiti da un pubblico ancora rarefatto ma che per l’intera giornata è sciamato da un angolo all’altro della città, dal piccolo palcoscenico dello Psycho al Diabolik in provincia, dal Pietro Aretino per il film di John Beluschi alle Logge di Piazza Grande, sotto le quali alle 18 si snoderà la testimonianza di Dori Ghezzi e di don Gallo.
**************************************************************************************************

E' ufficiale: scricchiolano ancora. Scricchiolano ancora come nel 2006, quando le scarpe facevano cik-cik sul terreno dello stadio. Scricchiolano ancora come in tutti gli anni precedenti. Scricchiolano le pedane di plastica che proteggono il prato dello Stadio. Sono le stesse pedane usate per la Messa del Papa: ma vedrete che gli anti-papa stavolta diranno che è un trionfo di eleganza e gli anti-rock brontoleranno che non scricchiolano ma gracchiano.

La vita è bella perché è varia o forse è varia perché è rock. E la notte prima di Arezzo Wave la città, zitta zitta, si riveste come nel 2006. Nel 2006, l'ultima edizione prima della bufera, l'ultima festa in casa prima che il figliol prodigo Valenti partisse alla conquista del mondo. Quell'edizione cominciava con Caparezza e finiva la serata del sabato con la Bandabardò: vi ricorda qualcosa?

Sì, Arezzo Wave riparte da dove si era interrotta. Anzi un giorn prima. Perché mentre la città dorme il festival prende forma. Intorno allo stadio calano le tenebre ma dentro è un cantiere. I gazebo co i rubinetti della birra all'ombra sembrano colli pronti a versare luppolo. Un gruppo di operai parlotta sulla panchina amaranto: le casacche gialle di Arezzo Wave si muovono nell'ombra, bucandola grazie al giallo.

Dall'altra parte c'è la palestra di roccia. Il palco è già montato, con centinaia di riflettori e i due schermi di fianco pronti a rilanciare le immagini. "Nuovi accordi contro la crisi": il motto del 2012 è spezzato in due parti, uno alla sinistra e uno alla destra del palcoscenico e non capisci quale sia il ladrone buono e quale quello cattivo. Certo il tema che dà del tu alla crisi senbra fare cozzi con il LOve scritto grande di ogni edizioone del Festival.

No, non si parla di amore nel ritorno di Arezzo Wave: si parla di crisi, di buio sia pur bucato dai riflettori, di una curva che non finisce mai. Con gli operai al lavoro fino a tardi. "Quando finiamo? Per domani tutto è pronto" ti risponde un uomo della sicurezza, in agguato dietro il cancello 29 dello Stadio. Un'altra casacca buca il buio con le scatole delle pizze in mano: si parli di crisi o si parli d'amore la gente deve mangiare. E la pizza come la birra sono la base dell'alimentazione rock o almeno wave.

Rock e i suoi fratelli intanto sbarcano. Il campeggio ancora è candido e lindo come un collegio di montagna, come se le porte del rugby lo dominassero. Ma è la notte prima del Festival e tutto ancora deve cominciare. Al Pionta lo Psycho stage, il primo ad accendere i motori, è già pronto quando calano le tenebre. Il regista è un chitarrista  e si vede. Il palco è vicino al campo di calcio, entri dal cancello laterale di via Masaccio ed è già lì. Insieme la gazebo nel quale i disegnatori buttano giù le aste della loro fantasia. E ai rubinetti della birra, che si allungano dappertutto.

Per le strade del centro si affacciano i primi  uomini con i cani: è la bandiera a scacchi del festival, il colpo di pistola dello starter, le luci che si accendono definivitamente sul ritorno. Dopo sei anni Arezzo Wave torna a casa, per mano al figliol prodigo Valenti. Riparte con Caparezza e chiude con i Bandabardò: non ci sono i grandi nomi, nè quelli delle uiltime edizioni aretine nè quelli della versione Italia Wave e neanche quelli delle varie edizioni del Play Art.

Ma c'è il festival, che si rimette sulle spalle il nome Arezzo, così come Arezzo si rimette sulle spalle il festival. L'orologio torna al 2006: i fans di allora sono cresciuti, qualcuno ha trovato lavoro e parecchi sono stati licenziati, chi tubava allora si è sposato o si è detto addio, qualcuno arriverà qui con i figli piccoli, i fans della prima ora perfino con i nipoti.

Dal PIonta che alle 10 accende i motori e gli amplificatori alle pedane dello stadio che scricchiolano come allora. A piazza Grande , dove ci saranno i momenti di riflessione: per esempio oggi è il giorno di don Gallo e di Dori Ghezzi. Dori arriva qui alla vigilia, ieri sera era a cena da Olga, e davanti a lei il popolo wave sfila, a cominciare dal patron Mauro Valenti. E chissà se qualcuno la porterà nel piccolo parco dedicato dal Comune a Fabrizio De Andrè.

Intorno gli angoli di una città che dorme e non sa di risvegliarsi trasformata. Al Pietro Aretino si affaccia John Belushi, relegato in un orario (le 16) che d'estate è tempo più di bagni che di cinema ma tant'è, un omaggio a 30 anni dalla morte. La danza va di taranta in via del Pantano, il chiostro della biblioteca diventa l'angolo dei fumetti e di Diabolik.

Ma poi la festa torna lì, allo Stadio. Dalle 19.30 in poi, con il gran finale riservato a Caparezza, che salta e che balla mentre canta e dà la carica. Come se la Puglia, teatro dell'ultima fuga di Valenti, ci riportasse qui il festival per la mano, lo accompagnasse nel ritorno a casa. Assaggiando saltellando le pedane che scricchiolano o gracchiano sul prato dello stadio.

di Alberto Pierini