Arezzo, 15 giugno 2011 - Basta spingere. I campioni del mondo dell’82 li chiamavano così i passaggi che spiovevano dalla destra. Basta spingere. Erano pennellate di piede, ricami intrecciati tra i chiodi delle scarpette. Partivano dal «ditone» di un tipo basso e bruttino, che i suoi tifosi chiamavano il «pelasgio» e i suoi genitori Bruno, Bruno Conti: ma i suoi passaggi bastava spingerli per trasformarli in rete. La storia del calcio ne è piena, quella della politica un po’ meno.

Per questo quando arrivano forse sarebbe il caso di sfruttarli. Come l’ultimo assist di Mauro Valenti. Il personaggio è di quelli impegnativi. Quando arriva è difficile non notarlo. Quando viaggia spesso si ritrova in mezzo ai grandi fatti del mondo: ricordate la sua aventura davanti allo tsunami? Quando parla divide ma fa discutere. Quando se ne va fa spettacolo, quando torna pure, un po’ per la fantasia e un po’ anche per le liste di proscrizione che porta sempre con sè. Però nel suo campo è un talento.  E se si fa avanti non per dividere ma per unire non si dovrebbe stare tanto a discutere. E’ pronto, ha spiegato ieri in un’intervista al nostro giornale, a metterci del suo nel rilanciare la Fortezza. Basta spingere, no? Un assist pennellato al centro dell’area. Perché la Fortezza è una delle opere simbolo dell’era Fanfani: anzi lo sarà. Forse.

Da rudere a contenitore, una «plastica» al titanio, un tipo tarchiato e pelato che si risveglia Colin Farrel. Ma i contenitori, lo dice il ragionamento stesso, vanno riempiti. E su questo per ora le idee non erano fioccate. Ambienti, tanti ambienti, ma che sarebbe suicida rendere inutilmente spaziosi, come la fronte di certi politici di un tempo. Valenti si fa avanti e piazza la palla al centro dell’area. Come ha fatto Jovanotti a Cortona, adottando il Girifalco. Come succede qua e là in tanti angoli d’Italia. Basta spingere. Il curriculum che il patron ha alle spalle parla da solo, non c’è bisogno di aprire troppi concorsi. No, basta spingere. Magari liberandosi di qualche lista di troppo e riempiendosi le tasche di idee. Il resto tocca al Comune.  Che è lì, al centro dell’area. Per ora agli esterni, almeno dalla politica, di spazi ne ha aperti pochini. Ha l’occasione di cominciare. Magari cambiando marcia.

Come nel caso del Play: per quattro anni ha portato musica, e buona musica, nella città rimasta «orfana» di Valenti. Da quattro mesi aspetta di sapere se potrà continuare a farlo anche a luglio. Non è obbligatorio dirgli di sì. E’ obbligatorio decidere. Basta spingere. Meglio ancora se raccogliendo la palla e buttandola in rete.