Sergio Zavoli: "L'Archivio di Pieve è come Spoon River". Il diario finalista di Emilio Cianca "Un socialista alla Grande Guerra"

Ogni giorno con La Nazione una pagina dedicata agli otti diaristi in finale al Premio Pieve 2015

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Otto pagine, otto uscite su La Nazione ognuna dedicata a uno degli otto diari finalisti del Premio Pieve 2015, un viaggio nella storia d'Italia che va dalla Grande Guerra a oggi. Tutte aconpagnate dai grandi personaggi che a Pieve sono andati proprio per conoscere  da vicino quel  tesoro di testimonianze che ci raccontano chi eravamo e chi siamo.

IL GIORNALISTA Sergio Zavoli ha conosciuto l'Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano. Lo ha voluito lo stesso fondatore dell'ARchivio Saverio Tutino per premiarlo on il premio "Città del diario" nel settembre del 2011. E di quell'esperienza scrive: "L'Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano rappresenta una delle più grandi invenzioni che la comunicazione culturale abbia mai realizzato, e di questo va dato atto a tutta la comunità che lo anima. La parola stessa “comunità” vuol dire mettere in comune, e non c'è nulla che possa mettere in comune più della memoria, della memoria collettiva. A prescindere da quale essa sia: non bisogna rendere la memoria sempre edificante, consolatrice. Bisogna saper accettare che esista anche una memoria molto feroce e cattiva, ma reale. Questo è un valore che l’Archivio conosce molto bene. L'impressione più forte che si ricava arrivando a Pieve Santo Stefano è che esista un'Italia non solo sconosciuta, ma che se la potessimo rianimare rappresenterebbe addirittura un altro Paese. È curioso scoprire come convivano insieme queste dimensioni inconciliabili, la dimensione delle persone abbandonate e la dimensione delle persone che hanno lasciato un segno tangibile e imperituro della loro presenza. Persone che sono raccolte qui in questa “Spoon River” sterminata, che ha un valore incalcolabile di cui forse non ci rendiamo neppure conto. Anche perché negli ultimi anni è stato intentato una specie di processo alla memoria, alla quale si imputa la “colpa” di screditare il presente, di allontanare il futuro e di non avere nulla da dirci, nulla da insegnarci. C'è invece una scuola di psicologi che sostiene una tesi molto diversa, con la quale mi sento di poter concordare per quanto io non abbia conoscenze specifiche in materia. Sembra che il cinquanta per cento delle cognizioni, delle nozioni, degli atti e dei sentimenti che si consumano nel presente, affondino le proprie radici nella memoria. Ecco, sono felice che esista un luogo come l’Archivio che si sia preso la responsabilità di alimentare questo sapere, in un contesto in cui la scuola è invece venuta meno al dovere civile di far durare il ricordo, quello che ci tiene in vita con noi stessi.

IL DIARIO DI EMILIO CIANCA "Un socialista alla Grande Guerra 1916-1919"

E’ UN PACIFISTA, non crede nella guerra ed è contrario alle spese belliche. Fa i conti in tasca agli ufficiali, contesta quanto guadagnano mentre a casa intere famiglie o vedove vivono di sussidi perchè i propri figli sono andati in guerra o sono morti. Potrebbe essere un giovane di oggi, che marcia in strada con la bandiera della pace, è impegnato politicamente, fa obiezione di coscienza, se non fosse che Emilio Cianca è nato nel 1893 a Contigliano di Rieti e conoscerà la guerra, il fronte, la trincea. Ha 22 anni quando scoppia la Prima Guerra Mondiale e deve lasciare il suo lavoro di operaio elettricista alle acciaierie di Terni dove si era trasferito giovanissimo. E proprio il suo diario di guerra dal 1916 al 1919 è una delle otto storie finaliste del premio dei diari di Pieve Santo Stefano, il cui vincitore verrà proclamato domenica 20 settembre dopo due giorni di incontri ed eventi, e che verrà presentato in anteprima ad Arezzo venerdì 4 settembre alle 17,30 nel giardino pensile della Provincia dallo storyteller Matteo Caccia.

EMILIO CIANCA nel suo diario «Un socialista alla Grande Guerra» non racconta solo la guerra ma soprattutto le sue emozioni, i suoi pensieri che diventano una lucida e impietosa analisi politica, un modo per superare l’orrore vissuto e visto. Parte per il fronte nel nel 1915 come artigliere e se la farà tutta questa guerra, fino alla disfatta di Caporetto, nonostante sia un pacifista convinto, e come lui tanti soldati che combattono al suo fianco. Ma è il suo spirito critico quello che colpisce in un momento in cui si deve solo obbedire agli ordini, anche a quello di andare a uccidere e a morire: «Ora domando una cosa: perché agli ufficiali non si chiede di sottoscrivere. Se i soldi non bastano, anziché aggravare il debito nazionale, perché non si cerca di limitare le spese nei limiti del possibile. Un ufficiale per vivere in zona di guerra non spende più di quattro o cinque lire al giorno. Ad un sottotenente si corrispondono £ 12 circa al giorno; a un tenente £ 17, ad un capitano dalle 25 alle 30. Riducendo di un terzo la loro paga tali signori viverebbero lo stesso da signori ufficiali senza avere il portafogli sgonfio. A quanti milioni all’anno di economia porterebbe il provvedimento? E non ci sarebbe nulla da ridire. Per amor di patria si toglie il figlio unico alla vedova, per la patria si armano 5, 6 e 7 figli di un vecchio ed una vecchia madre lasciando vivere questi con pochi centesimi di sussidio con i lumi di luna di questi tempi, per la vittoria ed il bene d’Italia, per la salute di essa si potrebbe sacrificare il superfluo guadagno, l’extraprofitto che marcisce nel portafogli».

MA LA GUERRA per Cianca è sofferenza, è strazio, è morte. Ai compagni caduti dedica una pagina commoventa: «Giacciono a terra i miseri, senza troppa preoccupazione dei passanti ormai tutti abituati a vedere mucchi di carne umana. Il mio pensiero corre alle madri, alle spose, ai figli che ignorano la triste fine dei loro cari, o coloro che rassegnati aspettano la fine della tremenda carneficina colla speranza di riaverli sani e salvi fra le braccia nel seno della famiglia fra la santa pace di essa. Tristi illusioni e vane speranze. Giungerà tardi a loro la notizia, passeranno i giorni e le settimane prima che sia nota a loro la grande sventura. E intanto spereranno; aspetteranno con impazienza uno scritto che non giungerà più, mentre le persone amate, marciranno prima di essere sotterrate, mentre colla loro putrefazione renderanno più tristi i giorni di chi vive ancora». La fotografia di un popolo costretto ad andare avanti, anche col cuore a pezzi.